Il matrimonio contratto in Albania con una cittadina italiana non giustifica il fatto che lo straniero espulso rientri in Italia senza alcuna autorizzazione un anno dopo, perchè è necessario dimostrare la convivenza con il coniuge. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza 7912/13.
Il caso
Un cittadino albanese , nel 2009, pur essendo già stato espulso, aveva fatto ritorno in Italia, dove era stato sorpreso in procinto di contrarre matrimonio con una cittadina italiana. Per questo motivo, dopo essere stato arrestato, era stato nuovamente accompagnato alla frontiera in esecuzione del decreto del Prefetto e del relativo ordine del Questore. Il ricorso dello straniero è stato respinto dalla Cassazione, secondo la quale il reingresso senza autorizzazione dell’extracomunitario già destinatario di un provvedimento di rimpatrio conserva rilevanza penale anche a seguito della direttiva 2008/115/CE e della conseguente pronuncia della Corte di Giustizia del 28 aprile 2011. L’atto amministrativo del 2009, che disponeva il rimpatrio e il divieto di ingesso, non può pertanto dirsi illegittimo: è vero che il provvedimento fissa una durata del divieto pari a 10 anni, quando la citata direttiva prevede che, salvo casi particolari, essa non possa superare i 5 anni, ma la difformità non ha alcuna rilevanza scriminante nel caso di specie, dal momento che l’imputato è stato nuovamente sorpreso in Italia nel 2010, a meno di un anno dalla sua espulsione. Non possono neppure essere invocate le disposizioni sul ricongiungimento familiare, posto che l’imputato non era stato autorizzato e non sussistevano i presupposti. I giudici di legittimità rilevano, infatti, che il matrimonio contratto in Albania con una cittadina italiana non giustifica il rientro in Italia senza alcuna autorizzazione nell’anno successivo, essendo necessario dimostrare l’ulteriore presupposto della convivenza con il coniuge: ciò per evitare la celebrazione di matrimoni solo formali, strumentali ad ottenere il permesso di soggiorno. Nel caso, la Corte territoriale ha escluso la sussistenza del rapporto che, in ogni caso, da solo non avrebbe potuto giustificare il rientro in Italia senza la prescritta autorizzazione.Per questi motivi, rilevato che le censure relative alla determinazione della pena sono inammissibili in quanto volte a chiedere rivalutazioni di merito, la Cassazione rigetta il ricorso.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it