Il 28 giugno 2013 ho partecipato al V Forum Nazionale dei Mediatori svoltosi presso la Camera dei Deputati – Palazzo Marini, in occasione del quale ho proposto un progetto di riforma dell’istituto della mediazione familiare.
Qui di seguito la mia relazione che sarà portata all’esame delle Commissioni Parlamentari.
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“La risoluzione ottimale di una divergenza si trova tramite la persuasione morale e l’accordo e non sotto coercizione”[1].
Tale assunto, espresso da Confucio, valevole per contese di qualunque natura, è riferibile ancor più validamente alle controversie che involgono le relazioni sentimentali legate ai rapporti familiari.
Di regola, l’accordo raggiunto da due parti in lite è il risultato di un percorso teso a ristabilire, in primis, la comunicazione interrotta e, dunque, il dialogo e la reciproca comprensione, poiché – volendo mutuare un’altra citazione, questa volta di Albert Einstein[2] – “La pace non può essere mantenuta con la forza, può essere solo raggiunta con la comprensione”.
E la comprensione costituisce la chiave di lettura delle relazioni conflittuali fornita dalla Mediazione familiare, istituto nato dall’esigenza di arginare i preoccupanti livelli di litigiosità e di acredine riscontrati nei giudizi di separazione personale dei coniugi e di divorzio, allo scopo di predisporre ed offrire alla coppia in crisi uno strumento alternativo/suppletivo di intervento sui conflitti familiari.
La parola “crisi” ha la sua derivazione etimologica dal greco “krisis” che rimanda al concetto di scelta, ossia al momento che separa una maniera di essere diversa da altra precedente. Anche nella nostra lingua l’etimologia della parola crisi suggerisce un significato positivo: essa infatti contiene un aspetto vitale che è quello della separazione, ed un aspetto di crescita, ossia quello della scelta.
La crisi non è dunque un evento totalmente negativo, bensì un momento di transizione che può essere anche opportunità di crescita: indica un’evoluzione, un cambiamento. Nell’idea di crisi sono, quindi, incluse la nozione di problema e quella di superamento del problema.
Orbene, il percorso di Mediazione familiare mira al superamento del problema, della crisi di coppia, spostando l’obiettivo dalla “risoluzione” del conflitto familiare alla “gestione” dello stesso, anelando al raggiungimento di un accordo finale, teso a ristabilire la comunicazione interrotta tra i coniugi o tra i conviventi more uxorio, a ripristinare il dialogo reciproco attraverso tecniche atte a rendere la coppia in conflitto partecipe, in eguale misura e su un piano di assoluta parità, di scelte negoziate e condivise da entrambi inerenti alla riorganizzazione della propria quotidianità, con particolare riguardo alle questioni educative e relazionali della coppia ed alla gestione del rapporto con i figli.[3]
In altre parole, la mediazione “rende possibile la sfida di trasformare il dolore del conflitto in opportunità per migliorare la qualità della propria vita e altrui esistenza…..”(M. Martello mediatore familiare).
Più che uno “strumentario giuridico” o una “tecnica”, la Mediazione familiare è un modus procedendi: in un primo momento, a livello individuale, tende a far sì che ciascuna parte prenda coscienza della situazione, delle ragioni che possono averla determinata, analizzi la realtà familiare nel suo insieme, si apra alla prospettiva di interagire con l’altra parte. In un secondo momento, ripristinato il dialogo e la comunicazione tra le parti, inizia un percorso di collaborazione, di cui è fondamentale il rispetto verso l’altro partner, che, spesso, nella immediatezza della frattura dell’unione coniugale o di fatto, è percepito come un soggetto ostile e inaffidabile, con il quale interrompere ogni comunicazione.
Il Mediatore familiare, dunque, deve essere un professionista altamente qualificato e formato per poter facilitare la comunicazione tra i due partner, rimanendo ‘estraneo’, terzo e imparziale, rispetto alla coppia ed al conflitto, mantenendo quel distacco che gli consente di leggere correttamente i segnali ed i messaggi, verbali e non, che emergono durante le sessioni di mediazione, nell’interesse di entrambi e, soprattutto, dei figli.
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Nel nostro ordinamento la Mediazione familiare ha fatto ingresso molto timidamente; è tuttora inadeguatamente praticata e scarsamente incentivata da una legge, quella sull’affidamento condiviso (L. 8 febbraio 2006 n. 54)[4], che non ha osato promuovere un passaggio preliminare obbligatorio presso un centro di mediazione per le coppie in disaccordo, che permettesse loro di valutare consapevolmente le potenzialità di un eventuale percorso, limitandosi ad una blanda segnalazione alle coppie da parte del Giudice, a lite iniziata, che, peraltro, non viene quasi mai effettuata[5]. E ciò, in spregio alle istanze europee, che sin dagli anni ’90 hanno promosso il ricorso alla Mediazione familiare come strumento idoneo non solo alla soluzione, ma anche alla prevenzione, dei conflitti familiari[6].
Ed invero, se si considera che la coppia in conflitto, una volta recuperati il dialogo e la comunicazione con l’ausilio del Mediatore familiare, viene posta nelle condizioni di riappropriarsi della propria capacità decisionale, su un piano di assoluta parità, soprattutto in ordine alla gestione della bi-genitorialità, è evidente che la Mediazione familiare possa e debba essere valorizzata come una risorsa per la famiglia e per la stessa società, come rimedio, o addirittura come strumento di prevenzione di abusi e di violenze di sorta, nella fase patologica dell’unione coniugale o di fatto, contribuendo, in tal modo, a ridurre i rischi di agiti che possono arrivare, nei casi più estremi, fino all’uccisione del partner o della prole o di condotte denigratorie di un genitore nei confronti dell’altro, nel bieco intento di escluderlo dalla vita relazionale ed affettiva del comune figlio.
Il Legislatore italiano ha lasciato un grave vuoto normativo non occupandosi espressamente della materia e non definendo la figura e le competenze del Mediatore familiare.
Prima della Legge n. 54/06 e dell’introduzione dell’art. 155 sexies c.c., la Mediazione familiare aveva fatto la sua apparizione nell’ordinamento italiano con la L. n. 285/1997, recante “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e adolescenza”, il cui art. 4.1 riconosce i servizi di mediazione familiare e di consulenza per le famiglie e per i minori come servizi di sostegno e superamento delle difficoltà relazionali; l’art. 6 prevede lo sviluppo di servizi volti a promuovere e a valorizzare la partecipazione dei minori a livello propositivo, decisionale e gestionale in esperienze aggregative, nonché occasioni di riflessione sui temi rilevanti per la convivenza civile e lo sviluppo delle capacità di socializzazione e di inserimento nella scuola, nella vita aggregativa e familiare.
Alla Mediazione familiare fa riferimento anche la L. n. 154 del 4 aprile 2001 in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari, che, come noto, ha novellato il codice civile, inserendone nel corpus gli artt. 342 bis e 342 ter[7], ed ha introdotto gli artt. 736 bis c.p.c. e 282 bis c.p.p.. Scopo della L. n. 154/01 è quello di fornire una tutela celere e adeguata a interrompere il ciclo delle violenze, mantenendo aperto, al contempo, un percorso di recupero delle relazioni familiari vulnerate. Ne deriva, in termini sistematici, che l’ordine di protezione va parametrato, quanto alla sua incidenza, in una prospettiva di positivo recupero, laddove possibile, della relazione familiare. Dalla locuzione «ove occorra» si deduce che l’applicazione delle misure stesse sia rimessa alla valutazione libera e insindacabile del giudice, il quale sarà l’unico interprete della situazione di conflitto, che giustifica l’an dell’ordine di protezione e il suo contenuto.
È in questa prospettiva che la normativa in parola faculta il giudice, nel momento in cui gli concede il potere, di disporre l’intervento dei servizi sociali, di un centro di mediazione familiare o delle associazioni che abbiano per statuto finalità di protezione da violenza domestica.
In tal modo si è voluto rendere partecipi tutti quei soggetti che, per funzione, si occupano di risoluzioni di crisi intrafamiliari, in modo tale che il provvedimento giudiziale realizzi una protezione integrata della vittima, in chiave spiccatamente compositiva.
Occorre precisare, tuttavia, che mentre l’ordine di protezione può essere imposto in via coercitiva, tramite l’ausilio della forza pubblica, la partecipazione ai programmi di mediazione familiare non solo non può essere imposta in via coercitiva, ma è produttiva di effetti solo se liberamente seguita[8].
Dunque, nell’ambito degli ordini di protezione il ricorso alla mediazione familiare è previsto come eventuale, rimesso al prudente apprezzamento del Giudice e con finalità riparativa e compositiva di una tranquillità turbata.
Da ultimo, il Legislatore è intervenuto in materia di mediazione familiare con la L. n. 54/06, mediante l’introduzione dell’art. 155 sexies c.c.: un intervento normativo tanto atteso quanto criticato, a cominciare dal linguaggio improprio, in quanto le espressioni “tentare” e “raggiungere un accordo” si addicono più alla conciliazione che alla mediazione. Inoltre, si parla di “esperti” e non di mediatori, evidentemente nell’intento di ricondurre la figura a quelle già esistenti senza creazione ex novo di una nuova professionalità (ovviamente ai fini processuali e limitatamente al processo). Inoltre, la mediazione è configurata come strumento per raggiungere un accordo che non può non essere che quello “di separazione”, il quale rappresenta (pur alla presenza della mediazione) un negozio di diritto familiare sospensivamente condizionato alla omologa (condicio juris di efficacia) e, quindi, inscindibile dal ruolo del Presidente nella fase presidenziale del giudizio.
La dottrina[9], peraltro, ha rilevato tutte le difficoltà interpretative del nuovo istituto non disdegnando l’orientamento che qualifica i “mediatori” (rectius: gli esperti) come ausiliari del Giudice.
E, infatti, dal dato normativo – invero alquanto scarno – emerge che la figura deputata a “mediare” trai coniugi è dotata di particolari competenze professionali ed assume, di fatto, la qualità di ausiliario del giudice. Diversi i referenti ermeneutici di siffatta conclusione:
1) La disposizione ex art. 155-sexies c.c. è rubricata “poteri del giudice ed ascolto del minore”: la scelta discrezionale di far ricorso alla mediazione va inscritta, pertanto, nel novero dei “nuovi poteri” del giudicante e un simile inquadramento sistematico richiama immediatamente la facoltà (rectius: potere) di ricorrere all’assistenza di organi d’ausilio. Si tratta, cioè, di uno di quei “casi previsti dalla legge” in cui “il giudice … si può fare assistere da esperti in una determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al compimento di atti che non è in grado di compiere da sé solo” (art. 68 c.p.c., rubricato, per l’appunto, “altri ausiliari”).
2) Il dato letterale depone nel senso di uno stretto rapporto tra esperti e giudice, potendosi reputare che i primi agiscano come una vera e propria longa manus del giudicante: ed, infatti, la disposizione adotta il verbo “avvalendosi”. Non è possibile, pertanto, non ricondurre il mediatore all’art. 68 c.p.c. poiché dalla legge definito, per l’appunto, “esperto” che tenta la mediazione e non tout court “mediatore”[10].
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In campo penale, la mediazione costituisce una delle manifestazioni più concrete di giustizia riparativa. In Italia la mediazione penale trova spazio quasi esclusivamente nel processo minorile, attraverso gli ambiti di discrezionalità concessi al Giudice dagli articoli 9[11] e 28[12] del D.P.R. n. 448 del 22 settembre 1988 ( “Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”) in relazione allo studio della personalità del minorenne e alla definizione del programma di messa alla prova.
La possibilità del ricorso alla mediazione penale viene espressamente prevista, tuttavia, solo all’articolo 29, comma 4, del D.lgs. n. 274/2000[13] sulla competenza penale del giudice di pace, quale strumento orientato a promuovere la remissione della querela per i reati che la prevedono e, dunque, la conciliazione tra le parti.
Nel D.P.R. n. 448/1988 non risulta un esplicito richiamo all’utilizzo delle tecniche di mediazione, sebbene il ricorso a quest’ultime sia di fatto consentito in ragione della finalità educativa cui tutto il procedimento minorile deve tendere, onde facilitare il recupero e il reinserimento del giovane che delinque. In particolare, è l’articolo 28 del D.P.R. n. 448/1988 che prevede per il giudice la possibilità di indicare, nel provvedimento sospensivo del processo con cui si dispone la messa alla prova, prescrizioni «dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato». Il deferimento di un caso concreto all’Ufficio di mediazione è reso possibile, peraltro, già dall’articolo 9 del D.P.R., che consente al giudice e al pubblico ministero di raccogliere tutte le informazioni idonee a far luce sulla personalità del giovane, al fine di predisporre misure adeguate alla prioritaria finalità educativa.
Al magistrato viene attribuita, in particolare, la possibilità di sentire tutte le persone che abbiano avuto rapporti con l’imputato. Si prevede, altresì, che il giudice possa avvalersi del parere di esperti «senza alcuna formalità» (senza la necessità di disporre una perizia in senso formale).
L’orizzonte della mediazione, con riguardo agli imputati minorenni, si sostanzia, dunque, in due esigenze: ridurre il più possibile l’intervento del diritto penale tradizionale e diversificare il procedimento minorile da quello degli adulti.
Il giudice può dunque rivolgersi agli operatori dell’Ufficio per la mediazione, già nella fase delle indagini preliminari, al fine di valutare la rilevanza sociale del fatto ed eventualmente l’opportunità che il giovane si attivi in un percorso finalizzato a riparare le conseguenze del reato, come pure, soprattutto, per favorire l’incontro con la vittima, in vista di una riassunzione delle responsabilità verso quest’ultima e verso l’intera società[14].
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Alla luce del quadro normativo sopra delineato, appare evidente che l’istituto della Mediazione familiare, in una prospettiva de iure condendo, andrà rivisitato alla luce dei profondi mutamenti del tessuto sociale, connotato da relazioni che tanto rapidamente possono rompersi quanto ricostituirsi, sempre più fluide, o meglio “liquide” per riprendere l’efficace espressione con cui un noto sociologo, Zygmunt Bauman[15], ha definito la nostra “modernità”, in quanto le scelte individuali, i comportamenti accettabili, le forme sociali, si scompongono e si sciolgono rapidamente, non hanno abbastanza tempo per solidificarsi ed assurgere a modelli di riferimento per l’agire umano.
Dai dati statistici risulta che gli italiani “si sposano di meno e più tardi rispetto al passato, fanno figli con il contagocce e divorziano facilmente. Sono sempre meno coppia e sempre più soli, più che single. Uomini e donne, mariti e mogli, padri e madri si sono dichiarati una stupida guerra di genere che va fermata prima che sia troppo tardi. Ormai entrambi i sessi rivendicano una superiorità morale e giocano a fare le vittime, l’uno dell’altro….. dal 1995 a oggi il numero delle separazioni è raddoppiato (+101 per cento) e i divorzi sono aumentati di oltre una volta e mezza (+61 per cento), quelle di lunga durata con oltre venticinque anni di matrimonio sono triplicate. La crisi del settimo anno è solo un ricordo, la durata media del matrimonio, al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento è risultata pari a quindici anni per le separazioni e a diciotto anni per il divorzio”[16]. Questo lo spaccato della realtà sociale italiana tratteggiato nel suo saggio “I Perplessi Sposi”, da Gian Ettore Gassani, Avvocato matrimonialista e Presidente nazionale dell’associazione forense Avvocati Matrimonialisti Italiani (A.M.I.), di cui la scrivente fa parte.
Ed è proprio raccogliendo le istanze dell’A.M.I. che la scrivente ha elaborato un progetto di regolamentazione dell’istituto della Mediazione familiare, in funzione dei seguenti obiettivi:
- Sostegno e recupero della funzione genitoriale nei casi di separazione e/o divorzio o, comunque, di crisi di una convivenza more uxorio, caratterizzati da particolare conflittualità tra i genitori, che spesso si riflette negativamente sul benessere psico-fisico dei figli;
- Garantire un ambiente armonico ed adeguato alla crescita psico-fisica del minore;
- Offrire sostegno socio-psicologico al minore ed alla famiglia;
- Promuovere il riavvicinamento del minore al genitore non “collocatario”, favorendo rapporti significativi con entrambe le figure genitoriali e l’effettiva estrinsecazione della bigenitorialità, nonché con i parenti di ciascun ramo genitoriale;
- Facilitare le interazioni familiari ed aumentare nella coppia la capacità di ascolto e di accoglimento e comprensione delle esigenze dei minori;
- Promuovere e diffondere una cultura della mediazione familiare nei luoghi della socialità, nelle scuole, presso i consultori familiari, inserendola nell’ambito delle Politiche sociali, nell’alveo di un intervento più complessivo di sostegno alle “normali” criticità quotidiane delle famiglie, alla fisiologicità dell’esperienza della crisi come possibilità del vivere contemporaneo;
- Favorire l’interazione e la cooperazione tra le varie competenze che operano nel campo delle politiche sociali, della famiglia e dei minori (per es. con i Consultori familiari, i Servizi Sociali, gli assessorati degli Enti locali).
Si rende dunque necessario, anzitutto, inquadrare normativamente la Mediazione Familiare, definendone l’ambito operativo, istituendo la figura professionale del Mediatore Familiare, quale professionista in possesso di requisiti ben specifici, accertati e riconosciuti mediante l’iscrizione in un apposito Albo dei Mediatori Familiari, disciplinandone gli ambiti di competenza. Ciò nella prospettiva di garantire la professionalità di chi si qualifica Mediatore Familiare ed esercita la professione come tale; il che impone l’elaborazione di un Codice deontologico del Mediatore Familiare, con un’elencazione di obblighi, sanzionabili in ipotesi di violazione, e l’introduzione di un Tariffario che renda trasparente all’utenza l’accesso al percorso di Mediazione Familiare.
Non a caso il tema affrontato con questo contributo è quello della riforma dell’istituto della Mediazione familiare e non della relativa disciplina normativa, che, come detto, difetta, allo stato, di una codificazione organica.
Qui di seguito i punti principali della proposta di legge in tema di mediazione familiare:
A) –Definizioni –
1) La “Mediazione Familiare” è un percorso attraverso il quale i coniugi, in procinto di separazione, già separati o divorziati, o i conviventi more uxorio nella fase patologica della loro unione, in un ambiente neutrale, hanno la possibilità di negoziare le questioni inerenti agli aspetti relazionali e interpersonali che ne discendono, con particolare riguardo alla gestione del rapporto genitori/figli;
2) “Obiettivo del percorso di Mediazione Familiare” è raggiungere un accordo finale, teso a ristabilire la comunicazione interrotta tra i coniugi o tra i conviventi more uxorio, ripristinando il dialogo tra loro, attraverso tecniche atte a rendere la coppia in crisi partecipe, in eguale misura e su un piano di assoluta parità, di scelte condivise da entrambi sulle questioni di carattere personale e relazionale che ne discendono, con particolare riguardo alla gestione del rapporto genitori/figli;
3) E’ “Mediatore familiare” una terza persona imparziale, qualificata e con formazione specifica che agisce in modo tale da facilitare la risoluzione di una disputa riguardante questioni familiari, relazionali e/o organizzative concrete, in un processo informale il cui obiettivo è di aiutare le parti in lite a raggiungere un accordo direttamente negoziato, applicandosi affinché l’autorità decisionale resti alle parti[17].
B) – Disciplina della professione del Mediatore Familiare –
1) Il Mediatore Familiare deve avere una formazione pedagogica, psicologica, sociologica e giuridica in materia di diritto di famiglia, che andrà conseguita mediante corsi accreditati dal Forum Europeo[18] e può avvalersi, nell’espletamento della sua attività, di altre figure professionali, quali il neuropsichiatra o lo psicoterapeuta, al fine di meglio perseguire l’“Obiettivo del percorso di Mediazione Familiare”, di cui al punto A2.;
2) Viene istituito un Registro professionale dei Mediatori Familiari, al quale i Mediatori Familiari, in possesso dei prescritti requisiti, devono essere iscritti per l’esercizio della loro professione;
3) Viene istituito un Ordine dei Mediatori Familiari, con funzione di controllo e di garanzia sulla professionalità e sul possesso dei requisiti prescritti per l’esercizio della professione di Mediatore familiare;
4) I Mediatori Familiari sono tenuti al rispetto del “Codice deontologico dei Mediatori Familiari”, con la previsione di obblighi e sanzioni, anche di carattere disciplinare, informato ai principi di probità, professionalità, conoscenza approfondita della materia giuridica e competenza specialistica in materia psicosociale e psicopedagogica, con l’espressa previsione che il Mediatore, a garanzia del proprio ruolo di soggetto terzo ed imparziale non può e non deve intervenire in mediazioni che coinvolgono persone con cui vi sia stato un precedente legame personale (familiari, amici, colleghi); non può e non deve erogare prestazioni che esulino dall’ambito specifico della mediazione familiare; ha l’obbligo di informare le parti che richieste di intervento o supporto d’ordine legale e psicoterapeutico devono essere indirizzate a specialisti dei rispettivi campi;
5) Viene istituito un Tariffario dei Mediatori Familiari, nel rispetto dei principi di trasparenza e accessibilità per l’utenza e di congruità in relazione all’attività professionale svolta;
6) Il Mediatore Familiare dovrà operare nell’ambito di un Centro di Mediazione Familiare, pubblico o privato.
C) – Al fine di rendere possibile le finalità della Mediazione Familiare si rende necessario de iure condendo:
– Definire forme di collaborazione che consentano di ottimizzare ed integrare le specifiche competenze dei diversi ambiti professionali sulla base dei rispettivi codici deontologici, individuando ad esempio: a) le finalità comuni (in particolare, la tutela dell’interesse della prole); b) la specificità del ruolo dell’avvocato e del mediatore; c) le modalità dell’invio da mediatore ad avvocato e viceversa, promovendo a tal fine la formazione e l’aggiornamento professionale, anche condiviso, per avvocati specialisti in diritto di famiglia e mediatori familiari. In proposito, nel definire i diversi ambiti di competenze tra Avvocati e Mediatori familiari sarebbe utile evidenziare, expressis verbis, che l’attività del Mediatore familiare non può e non deve sostituirsi all’attività professionale dell’Avvocato nelle vicende separative delle coppie in conflitto, avendo lo scopo e la funzione, non di ricomporre la coppia, ma di ristabilire un canale di comunicazione tra i coniugi o tra i partner e di accompagnarli in un percorso che è, per così dire, parallelo ma non sostitutivo né alternativo all’intervento ed alla presenza del legale, sempre necessaria ed indispensabile. Del resto la stessa Raccomandazione n. R(98), contenuta nella Risoluzione n. 616 del 21.01.1998 adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, prevede espressamente che il Mediatore familiare possa fornire informazioni di carattere legale ma non possa prestare consulenza legale.
– Dotare i Servizi e gli Uffici giudiziari (Tribunali civili e penali, Tribunale per i Minorenni, Procura) di un elenco di Centri di Mediazione Familiare ed istituire, almeno, presso ciascun distretto di Corte di Appello un Centro di Mediazione Familiare gratuito.
– Rendere la Mediazione familiare un percorso obbligatorio e gratuito nei casi in un cui sia proposto un giudizio di separazione personale dei coniugi, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, o un procedimento ex art. 317 bis c.c. relativo all’affidamento ed al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, quando vi sia conflittualità nella coppia.
A tal fine, potrebbe essere inserito un passaggio procedimentale: un paio di incontri preliminari tra i coniugi o tra i partner in conflitto ed il Mediatore familiare, tesi, da un lato, a chiarire le modalità e gli obiettivi del percorso mediativo in fieri e, dall’altro, a consentire al Mediatore di valutare la mediabilità della coppia e, dunque, la concreta possibilità di proseguire il percorso di mediazione familiare. Così strutturata, la Mediazione familiare potrebbe rivelarsi una risorsa fondamentale sia per la coppia genitoriale disponibile a proseguire il percorso, sia per gli inevitabili effetti deflattivi del contenzioso in ambito familiare che ne discenderebbero.
Il percorso di mediazione familiare dovrebbe essere teso al raggiungimento di un accordo della coppia in ordine all’affidamento dei figli, alla loro educazione, alla gestione del tempo libero, ai ritmi delle giornate, alle attività sportive, ludiche e ricreative, agli incontri con persone significative per la crescita dei figli medesimi, al mantenimento della prole ed all’assegnazione della casa coniugale (c.d. Mediazione parziale).
Tutti gli aspetti concernenti la divisione dei beni della coppia ed altre condizioni economiche dovrebbero essere negoziati tra le parti con l’assistenza degli avvocati, soprattutto in presenza di patrimoni ingenti, che impongono la risoluzione di questioni tecnico-giuridiche particolarmente complesse, che, talvolta, esigono il coinvolgimento anche di altre figure professionali specialistiche (per es. commercialista, notaio, fiscalista, tributarista)[19].
– Prevedere che il Centro di Mediazione Familiare accolga nel suo ambito uno spazio dedicato ai c.d. “Gruppi di parola”. Si tratta di un’esperienza, già sperimentata in alcune Regioni italiane, aperta ai figli di coppie in fase di separazione o già separate. Si strutturano in cicli di incontri informali con coetanei, che sviluppano un senso di appartenenza e di coesione, stimolando l’espressione di sentimenti e comportamenti autentici, diminuendo i timori dei figli di fronte ai sensi di colpa e di responsabilità correlati alla vicenda separativa dei genitori, favorendo un contatto con altri bambini che condividono le stesse emozioni e gli stessi stati d’animo, dando loro la possibilità di esprimersi con la massima libertà, al di fuori degli incontri con i genitori, e con il necessario rispetto per la riservatezza. Sarebbe, pertanto, utile prevedere la creazione in ogni Centro di mediazione Familiare, pubblico o privato, di tali “Gruppi di parola” che, in presenza del Mediatore familiare, siano in grado di instaurare un dialogo aperto con i bambini e con gli adolescenti, sappiano porli di fronte alla nuova realtà determinata dalla divisione dei genitori, in modo non traumatico, al fine di superare le difficoltà che spesso occorre affrontare in tali circostanze.
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Nella prospettiva di una rivisitazione dell’istituto della Mediazione familiare non ci si può, infine, non interrogare sulla possibilità di ricorrere allo stesso nei casi di violenza intrafamiliare, sia essa violenza psicologica – caratterizzata da minacce verbali, denigrazioni, svalutazioni che la persona esprime nei confronti del/la proprio/a partner -; violenza fisica; violenza sessuale, violenza economica, violenza assistita – forma di violenza domestica, quest’ultima, purtroppo assai diffusa, che consiste nell’obbligare un minore ad assistere (da qui il termine “assistita”) a scene di aggressività o violenza verbale, fisica, sessuale tra persone che costituiscono per lui un punto di riferimento o su persone a lui legate affettivamente, che siano adulte o minori. La violenza assistita, in quanto maltrattamento psicologico, comporta effetti a livello emotivo, cognitivo, fisico e relazionale, anche particolarmente gravi per il minore che la subisce.
Le cronache nazionali portano quotidianamente alla ribalta tristi vicende di violenze, di maltrattamenti e di abusi che si consumano tra le mura domestiche.
I dati statistici registrano un aumento impressionante dei casi di violenza in famiglia, che risultano lievitati del doppio in dieci anni; il 7% delle violenze subite viene denunciato; nel 40% dei casi le vittime avevano sporto denuncia, ma poi sono state uccise dal proprio carnefice.
La Convenzione di Istanbul[20], recentemente ratificata dall’Italia all’unanimità, ha tracciato le linee guida in tema di protezione delle donne da ogni forma di violenza e di prevenzione della violenza contro le donne e, più in generale, della violenza domestica, definita quest’ultima come comprensiva di “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”. Tra gli obiettivi della Convenzione, fondamentale è quello di “predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica”. E’, inoltre, espressamente previsto l’obbligo per gli Stati aderenti di predisporre misure legislative o di altro tipo che includano, tra l’altro, consulenze legali ed un sostegno psicologico alle vittime di violenza, un supporto per superare il trauma e dei consigli.
In tale ambito, le pratiche di mediazione diventano uno spazio potenziale per pensare a soluzioni che altrove non sono possibili.
Il Prof. Adolfo Ceretti, in un suo contributo[21], ha rappresentato con chiarezza il bisogno di protezione che si alimenta nell’intimo di chi ha subito un abuso o una violenza tra le mura domestiche; bisogno dal quale occorre muovere necessariamente al fine di predisporre adeguati strumenti di supporto, anche psicologico, in favore delle vittime di violenza intrafamiliare.
Per queste ultime, infatti, avere uno spazio protetto per raccontarsi ed essere ascoltate e riconosciute può essere un’esperienza “ri-fondativa”. Un elemento molto importante nella filosofia della mediazione è proprio quello di dare spazio alle voci in-ascoltate. Le famiglie violente sono luoghi dove per antonomasia i gesti di spregio si sostituiscono alle parole. L’ascolto reciproco di un racconto svolto in mediazione arriva invece a conferire alle parti un potere (inedito) positivo (empowerment). Ciò che le donne che hanno subito violenza narrano in mediazione fa spesso riferimento, infatti, ai sentimenti di perdita di fiducia nelle relazioni più intime, o di perdita del senso ontologico di sicurezza negli spazi familiari.
Riacquistare potere rispetto alla gestione e alla sicurezza della propria vita quotidiana non può prescindere da un’esperienza di base: “ri-collocarsi” al centro degli eventi in una posizione attiva, provando a iniziare a controllare la situazione narrando la propria storia a partire dalla propria versione, e attraverso il proprio linguaggio. La storia non sarà vagliata e valutata da un giudice, ma raccontata (e ascoltata) facendo ricorso alle forme discorsive usate nelle conversazioni quotidiane.
In mediazione, inoltre, al reo non è dato di “ignorare” la vittima, come può avvenire invece nelle aule dei tribunali. La vittima si colloca ed è al centro della storia, e le sue argomentazioni non sono confinate agli aspetti più interni della vicenda che ha condotto alla denuncia del reo, ma compartecipate sul palcoscenico della mediazione.
Dal punto di vista della rottura dei dinieghi e delle negazioni, la mediazione aiuta poi a considerare la parte offesa una persona “vera”, portatrice di valori, idee, emozioni diversi da quelli attribuitile dagli stereotipi, o dalle fantasie e dalle menzogne del perpetratore.
Naturalmente non tutti i casi di violenza intrafamiliare filtrati da questo approccio metodologico possono concludersi con una buona riuscita della mediazione, rivelandosi necessari in siffatte ipotesi il supporto di altre competenze professionali specialistiche ed interventi specifici. Ciò accade quando chi ha commesso la violenza non è disponibile a seguire un percorso di mediazione o nelle relazioni in cui il dominio fisico dell’uomo sulla donna è solo una delle modalità attraverso le quali si estrinseca la relazione di potere/soggezione dell’uno rispetto all’altra.
Tuttavia, si potrebbe prevedere, de iure condendo, che a seguito di una denuncia per maltrattamenti contro familiari e/o conviventi, per violenze e abusi sui minori, per minaccia o per atti persecutori in danno del coniuge o del convivente, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente nomini un Mediatore familiare iscritto nell’apposito Albo ed operante nell’ambito del Centro di Mediazione familiare istituito presso l’Ufficio giudiziario o il distretto di Corte di Appello, al fine di valutare il grado di conflittualità della coppia, monitorare il rapporto genitori/figli, individuare eventuali margini di disponibilità della coppia medesima ad intraprendere un percorso mediativo o, in difetto, segnalare interventi specifici a sostegno ed a tutela della persona offesa.
Potrebbe essere questa una delle modalità, unitamente ad altri interventi di politica legislativa e sociale comunque necessari, per fornire un supporto concreto, anche di ordine psicologico, alle vittime delle denunciate violenze.
Avv. Emanuela Palamà – AMI Lecce
[1] Citazione di Confucio, filosofo (551 a.C. – 479 a.C.).
[2] Albert Einstein (1879-1955)
[3] Storicamente, i programmi più attendibili e diffusi di mediazione familiare nascono negli Stati Uniti d’America e in Canada agli inizi degli anni ’70, grazie all’opera di Jim Coogler, Avvocato di Atlanta, soggetto ed oggetto di un divorzio belligerante, costatogli molte sofferenze anche in termini di energie e denaro. Coogler, proprio a seguito della sua esperienza personale, riflettendo anche come Avvocato sull’alto numero di divorzi negli Stati Uniti d’America e considerando l’elevato costo in termini economici e di tempo di ogni causa di divorzio, si impegnò a costruire una “pratica” in grado di aiutare uomini e donne, “investiti” dalla fine di un matrimonio, principalmente finalizzata al superamento della logica vincitori-vinti. Da allora la mediazione, lentamente e progressivamente, ha cominciato a diffondersi anche in Europa dando vita a tutta una serie di Movimenti Culturali e Associazioni che la praticano con successo, cercando anche di diffonderla. In Europa la mediazione familiare approda grazie al contributo di Lisa Parkinson, assistente sociale presso il Servizio per la tutela dell’Infanzia del Tribunale di Bristol, alla quale si deve sia la nascita sia il coordinamento del Bristol Family Mediation Service – il primo servizio di mediazione familiare del Regno Unito, ove operò dal 1979 al 1983 – sia la creazione dello European Forum For Family Mediation Training and Research e del World Mediation Forum, due tra le principali, fra le numerose iniziative formative cui ha dato impulso, al di fuori dei confini nazionali. Ispirandosi al proprio lavoro di assistente sociale, costantemente chiamata a collaborare con operatori giuridici – avvocati e magistrati – coinvolti nelle procedure di divorzio, Lisa Parkinson comprese di dover adattare alla loro mentalità le prassi sviluppate nel corso di un’attività – fino ad allora poco nota ai giudici – caratterizzata dall’ascolto empatico e, dunque, da un’estrema attenzione alle motivazioni sottese alle diverse posizioni dei componenti della coppia. Al contempo, avvertì l’esigenza di sollecitare l’adozione, da parte di chi avesse una formazione giuridica, di nuove metodologie, per poter trattare più efficacemente ed equamente le questioni legate al divorzio. Obiettivo da perseguire sarebbe stato quello di ripristinare il dialogo fra le parti per consentire alle stesse di definire personalmente i profili più spinosi, quali l’affidamento dei figli minori d’età e l’eventuale divisione dei beni comuni. In Italia nel 1987 nasce la G.E.A., Associazione Genitori Ancora, grazie all’impegno di Fulvio Scaparro e Irene Bernandini, psicologici e C.T.U., che promuovono l’ingresso della ‘cultura’ della mediazione familiare in Italia. Rispettivamente nel 1989 e nel 1995 sono istituiti il Centro Genitori Ancora, il primo centro di mediazione familiare in Italia, e la Società Italiana di Mediazione Familiare, preposta al coordinamento delle iniziative dei mediatori in Italia con gli standard professionali e deontologici europei.
[4] L’art. 155 sexies c.c., introdotto dalla L. 8 febbraio 2006 n. 54 (recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”), al secondo comma recita testualmente: “Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”.
[5] MAGLIETTA M., La mediazione familiare resta una scommessa da giocare con convinzione, Famiglia e Minori, 01.01.2008, 1, 8.
[6] In particolare, nel 1992 è stata redatta la “Charte Europèenne de la formation de mèdiateurs familiaux exercant dans les situaztions de divorce et de sèparation”, a cura della Commissione sulla formazione del mediatore familiare e promossa dall’Association pour le Promotion de la Mediation Familiale (A.P.M.F.) di Parigi. Alla Carta Europea aderiscono numerosi Paesi, quali la Germania, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia, Svizzera. La “Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo”, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo nel 1996 e ratificata in Italia con la L. 20 marzo 2003 n. 77, ha segnato una fase fondamentale nel percorso di diffusione e valorizzazione della mediazione familiare. Infatti, all’art. 13 dispone: “Al fine di prevenire o di risolvere i conflitti, e di evitare procedimenti che coinvolgano minori dinanzi ad un’autorità giudiziaria, le Parti incoraggiano il ricorso alla mediazione e a qualunque altro metodo di soluzione dei conflitti atto a concludere un accordo, nei casi che le Parti riterranno opportuni”. Ancora, con la Raccomandazione del Consiglio d’Europa sulla mediazione familiare del 21 gennaio 1998, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, richiamando proprio l’articolo 13 della suddetta Convenzione, invitava “gli Stati membri a promuovere e rinforzare la mediazione familiare”, dando precise indicazioni sulla sua area d’azione, sull’organizzazione dei servizi, sui metodi, etc. Infatti, al Principio III (ix) si legge: “Il mediatore dovrà mettere una particolarissima attenzione per conoscere se vi sono state violenze tra le parti o se queste sono suscettibili di riprodursi nel futuro e quali effetti potrebbero avere sulla situazione delle parti nella negoziazione, ed esaminare se, in queste circostanze, il procedimento di mediazione sia appropriato”. Al Principio III (viii), invece, si legge: “Il mediatore dovrà avere più in particolare a cuore l’interesse superiore del fanciullo, dovrà incoraggiare i genitori a concentrarsi sui bisogni del fanciullo e dovrà ricordare ai genitori la loro responsabilità primordiale, trattandosi del benessere dei loro figli e della necessità che essi hanno di informarli e consultarli”. Specifica tutela dei diritti del bambino è riconosciuta anche nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre del 2000, che all’art. 24, comma 3, statuisce: “Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.” Per completare la panoramica delle disposizioni dell’Unione sulla mediazione familiare e sulla tutela dei minori, non può non menzionarsi la Convenzione sulle Relazioni Personali che Riguardano i Fanciulli, sottoscritta a Strasburgo il 15 maggio 2003, che all’articolo 7 rubricato “Risoluzione delle controversie in materia di relazioni personali”, dispone: “[…] b. Quando bisogna risolvere delle controversie in materia di relazioni personali, le autorità giudiziarie devono adottare tutte le misure appropriate: per incoraggiare i genitori e le altre persone che hanno dei legami familiari con il fanciullo a raggiungere degli accordi amichevoli a proposito delle relazioni personali con quest’ultimo, in particolare facendo ricorso alla mediazione familiare e ad altri metodi di risoluzione delle controversie.” Infine, ma non da ultimo, la Raccomandazione n. 1639/2003 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa del 25 novembre 2003, recepita dal Comitato dei Ministri (del Consiglio d’Europa) il 16 giugno 2004, ribadisce il valore della mediazione familiare e la necessità in questo ambito di ascoltare i minori per garantirne i diritti, invitando gli Stati ad implementarne i principi ed a promuoverne l’utilizzo. All’art. 1 si legge: “La mediazione familiare è un procedimento di costruzione e di gestione della vita tra i membri d’una famiglia alla presenza d’un terzo indipendente ed imparziale chiamato il mediatore. [..] Compito del mediatore è di accompagnare le parti della mediazione in un procedimento fondato verso una finalità concordata innanzitutto tra loro. L’obiettivo della mediazione è di giungere ad una conclusione accettabile per i due soggetti senza discutere in termini di colpa o di responsabilità. L’accordo raggiunto è ritenuto idoneo ad una pacificazione e ad un miglioramento duraturi della relazione tra i coniugi.” Ancora, all’art. 7 si legge: “Lo scopo principale della mediazione non è quello di alleggerire il carico dei tribunali, ma di ristabilire, con l’aiuto di un professionista formato nella mediazione, la carenza di comunicazione tra le parti”.
[7] Art. 342 ter, comma 2, prima parte, c.c.: “Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonchè delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati”.
[8] GRECO A., Violenze in famiglia e ordini di protezione, Ventiquattrore Avvocato, 1.01.2009, 1, 8.
[9] PETITTI C., Il mediatore familiare come ausiliario del giudice, in Famiglia e diritto, 1/2006, p. 85 ss.
[10] SPADARO G., La mediazione familiare nel rito della separazione e del divorzio, in www.altalex.com.
[11] Art. 9 del D.P.R. n. 448/1988: “1. Il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili. 2. Agli stessi fini il pubblico ministero e il giudice possono sempre assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire il parere di esperti, anche senza alcuna formalità”.
[12] Art. 28, comma 2, D.P.R. n. 448/1988: “Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato”.
[13] Art. 29, comma 4, D.Lgs. n. 274/2000: “Il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi anche dell’attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o private presenti sul territorio. In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell’attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della deliberazione”.
[14] RIONDINO M., Vent’anni di Convenzione fanno più spazio ai diritti del fanciullo, Famiglia e Minori, 1.11.2009, 10, 83.
[15] ZYGMUNT BAUMAN, Modernità liquida, ed. Laterza, Roma 2002.
[16] GASSANI GIAN ETTORE, I Perplessi Sposi, Aliberti editore, 2011, 27 ss.
[17] Tale è la definizione di Mediatore familiare data dall’ A.I.Me.F. (Associazione Italiana Mediatori Familiari), inserita nell’elenco delle Associazioni Professionali ex art. 2, comma 7, della Legge n.4/2013 (“Disciplina delle professioni non organizzate in ordini”).
[18] Il FORUM EUROPEO, organismo di formazione e di ricerca per la Mediazione Familiare e le Mediazioni è una Associazione senza scopo di lucro, a norma della legge 1901 francese, che riunisce in sé organizzazioni nazionali, regionali e locali di differenti Paesi europei, che formano alla Mediazione familiare nel campo della separazione, del divorzio, della tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, dei conflitti familiari; ed alla Mediazione nel campo dell’incomunicabilità e delle situazioni conflittuali tra persone o gruppi, tra istituzioni o imprese. Il FORUM EUROPEO è stato creato nel 1996 da mediatori familiari e formatori provenienti da differenti Paesi europei che si sono riuniti per lavorare insieme con il coordinamento della sezione formazione dell’APMF ( all’epoca Associazione per la Promozione della Mediazione Familiare francese). Oggi il FORUM EUROPEO è completamente indipendente e dal 2012 si è aperto dall’area della mediazione familiare per integrare tutti i campi della mediazione: scolastica, internazionale, d’impresa, sanitaria, del lavoro, civile, giudiziaria, istituzionale, ecc.. Attualmente lo scopo del FORUM EUROPEO è quello di promuovere, sviluppare e coordinare la formazione e la ricerca nel campo della mediazione familiare, della mediazione familiare internazionale e di altre tipologie di mediazione, elaborando degli standard di qualità nella formazione e nella pratica della mediazione familiare, della mediazione familiare internazionale e più in generale della mediazione in Europa. OBIETTIVI : a) Riunire i Centri di formazione che erogano formazione alla mediazione familiare e alla mediazione familiare internazionale e sollecitarli ad operare in uno spirito di cooperazione interdisciplinare, rispettando le specificità nazionali e culturali; b) riunire i referenti e i responsabili per la formazione negli altri ambiti della mediazione e sollecitare anch’essi a operare in uno spirito di cooperazione interdisciplinare, nel rispetto delle specificità nazionali e culturali; c) stabilire dei criteri sui contenuti della formazione ed accompagnare la loro attuazione; d) promuovere la professionalità dei mediatori familiari, dei mediatori familiari internazionali e degli altri mediatori attraverso la formazione continua; e) favorire, nella formazione iniziale ed in quella continua, gli scambi di esperienze di mediazione in differenti contesti; f) offrire uno spazio strutturato, che favorisca la riflessione e la ricerca in mediazione familiare e mediazione familiare internazionale nelle situazioni di conflitto coniugale, genitoriale, familiare, che riguardano l’infanzia e l’adolescenza, l’intergenerazionale e il trans generazionale, e in tutti gli altri campi della mediazione in connessione con la scuola, l’impresa, la giustizia, le istituzioni; g) Sviluppare relazioni e partenariati con le organizzazioni europee e internazionali coinvolte nella messa in atto di servizi di mediazione.
[19] Si segnala in proposito un ambizioso progetto di Mediazione familiare sperimentato dal Tribunale di Lamezia Terme, nella persona del Presidente Dott. Giuseppe Spadaro, con l’obiettivo di fornire ai cittadini del territorio lamentino un’opportunità in più rispetto ad altri territori del nostro Paese: si tratta di un servizio specializzato gratuito di Mediazione familiare, istituito all’interno del Tribunale medesimo, rivolto alle coppie di genitori separati o in via di separazione, che abbiano inoltrato istanza di separazione presso il Tribunale di Lamezia Terme e che evidenziano serie difficoltà a riorganizzare la propria vita in termini costruttivi, a causa dell’evento separativo, con inevitabili conseguenze dannose per i figli.
[20] Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
[21] CERETTI A. (Professore ordinario di Criminologia all’Università degli Studi di Milano – Bicocca Coordinatore scientifico dell’Ufficio di Mediazione Penale di Milano), Violenza intrafamiliare e mediazione, in http://www.ipan.org.br/arquivos/artigos/Violenza%20Intrafamiliare%20e%20Mediazione.pdf
Complimenti per la chiarezza e precisione dei contenuti.
Condivido pienamente la possibile interazione Avvocato-Mediatore che, come ben sappiamo, può avvenire con modalità e tempi diversi a seconda delle tipologie di mediazione, che possono affrontare differenti tematiche: solo relazionali come nella mediazione parziale, oppure sia relazionali che economico-patrimoniali come nella mediazione globale.
Personalmente ritengo che, in quest’ultimo caso, sia indispensabile una Co-Mediazione Interdisciplinare, che prevede la compresenza ai colloqui di due Mediatori, uno appartenente alla sfera psicosociale e l’altro appartenente alla sfera giuridica, nel rispetto delle diverse professionalità ma soprattutto nel rispetto di quanti, in un momento difficile della loro vita (La pregnanza della parola “crisi” sta nel non avere una denotazione fissa, né positiva né negativa, d’altra parte anche nella medicina ippocratica la parola “crisi” significava “improvviso cambiamento”)
decidono di affidarsi a noi.
Dott. Mario Brengola
La figura professionale del Mediatore familiare ad oggi rientra nelle Professioni non Organizzate nel rispetto della legge 4/2013?
Grazie
Oliviero Casale
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