Rapporto Scuola- Famiglia, da alleanza a contesa giudiziaria

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Violenza privata. Così si pronuncia la Cassazione (sentenza 40291/17) nei confronti di due dirigenti scolastici, due insegnanti e una psicologa finiti sotto inchiesta per aver sottoposto un’intera classe ad osservazioni  psicologiche senza il consenso genitoriale.

I genitori di un allievo del Convitto di Arezzo, dopo aver saputo che il loro figlio, insieme a tutta la sua classe, era stato sottoposto ad un periodo di osservazione clinica da parte di una psicologa, si sono rivolti alla Procura per denunciare tale intervento svoltosi in assenza della preventiva autorizzazione da parte dei genitori di ogni singolo alunno.

I fatti risalgono all’anno scolastico 2010/11. Le maestre facevano fatica a gestire i bambini di scuola primaria e verso la fine dell’anno scolastico si decise per l’intervento di una psicologa, da effettuare due volte la settimana, durante le lezioni, proprio per esaminare (questa almeno è l’accusa) l’eventuale comportamento problematico dei bambini.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dei genitori, poiché “si può affermare che l’assenza di un esplicito consenso da parte di chi sia legittimato a prestarlo, vale a dire i genitori del minore nel nostro caso- scrive la Cassazione– integri certamente una compressione della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo”.

Infatti, osservano i Giudici Supremi “nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell’individuo” e il requisito della violenza “si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di determinazione e di azione della parte offesa”.

La Cassazione, inoltre, osserva che “non vi è dubbio che l’osservazione delle condotte in classe, al fine di trarne elementi per formare una valutazione degli alunni sotto il profilo comportamentale e prendere ulteriori provvedimenti, rappresentava una invasione delle sfere personali degli alunni che, come tale, necessitava il preventivo consenso”.

Se la psicologa, sottolinea la Cassazione, ha avuto un ruolo di “consulente” della maestra per suggerirle indirizzi didattici, si può “escludere che l’attività di osservazione potesse interferire nella sfera personale degli alunni e quindi necessitare del preventivo consenso dei genitori”, mentre “non altrettanto può dirsi se oggetto dell’osservazione erano proprio i comportamenti degli alunni e, ancor di più, di alunni ritenuti portatori di problematiche”.

Il 5 settembre arrivano le motivazioni che riavviano il caso in chiave processuale, poiché i Giudici Supremi ritengono che quello della psicologa era a tutti gli effetti un trattamento sanitario non autorizzato.

Il gup del Tribunale di Arezzo dovrà appurare “se l’attività di osservazione psicologica effettuata nei confronti dei minori abbia avuto carattere impositivo o, in qualche modo, incisivo della sfera materiale e psichica dei bambini”.

In tal caso, qualora fosse confermata dal gup questa ipotesi, la posizione dei due dirigenti scolastici (che si sono succeduti), dei due insegnanti e della psicologa, si aggraverebbe.

Il dirigente scolastico, prima di far intervenire l’esperto esterno nelle classi dei bambini, avrebbe dovuto condividere con ogni genitore/genitrice e/o tutore tutrice l’iniziativa, richiedendone l’eventuale consenso e, il dirigente scolastico subentrato successivamente, avrebbe dovuto consentire ai genitori l’accesso agli atti, perché la psicologa che venne peraltro presentata alla classe come “insegnante aggiuntiva”, stilò la sua relazione con le valutazioni cliniche su ciascun bambino.

Gli psicologi che lavorano in ambito scolastico hanno la responsabilità di assicurarsi che i genitori siano informati dell’attività svolta in classe. Condurre un’osservazione delle dinamiche di classe non significa fare valutazioni sui singoli, nemmeno quando richieste da un insegnante o da un dirigente.

Inoltre, gli psicologi si devono presentare alla classe come psicologi e non come insegnanti, amici di qualcuno, o sotto altre forme. I bambini hanno diritto di sapere che si stanno relazionando con uno psicologo e, soprattutto, devono sapere in cosa consiste la presenza dello psicologo in classe.

Quando si dice ai bambini che è importante dire sempre la verità, si deve dare l’esempio concreto perché i bambini imparano dall’osservazione diretta del comportamento degli adulti. I messaggi devono essere chiari, non ambivalenti e devono avere riscontro nella realtà altrimenti gli adulti risultano poco credibili e, quindi, non autorevoli.

La scuola, in quanto luogo privilegiato dell’educazione, deve agire, sempre all’insegna della trasparenza e della verità, deve cercare continuamente l’alleanza con i genitori attraverso un confronto propositivo e costruttivo nell’interesse supremo del minore.

Per ciò che riguarda il caso specifico del consenso alla prestazione psicologica, l’articolo 31 del Codice Deontologico degli Psicologi così cita:

“Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la responsabilità genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’autorità tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale.

Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte.”

La scuola non è una struttura legislativamente preposta ad interventi di tipo sanitario, pertanto nella programmazione didattica non vi possono essere interventi di tipo clinico senza il consenso esplicito dei genitori.

I genitori sono gli unici responsabili del percorso di crescita del minore ed ogni eventuale osservazione clinica di un minore, preventivamente autorizzata dall’autorità genitoriale, poggia e si completa, sulla necessaria contestualizzazione familiare che solo il colloquio con i genitori può fornire.

L’Istituzione scolastica si configura, da sempre, come luogo naturale dell’educazione e, come tale, può solo favorire interventi di tipo educativo-formativo senza prescindere dalla piena e totale condivisione con la famiglia del patto educativo di corresponsabilità.

I genitori hanno il diritto di conoscere tutte le attività relative all’esperienza scolastica dei propri figli e l’Istituzione scolastica ha il dovere di informare puntualmente e tempestivamente i genitori su ogni iniziativa al fine di creare una reale alleanza tra scuola e famiglia nell’interesse supremo del minore.

Una omissione di questo genere può costare cara e la tanto auspicata alleanza scuola-famiglia può sfociare in una incresciosa contesa giudiziaria.

 

Dott.ssa Francesca Marcianò

Pedagogista e Mediatrice Familiare

Commenti su Rapporto Scuola- Famiglia, da alleanza a contesa giudiziaria

  1. Massimiliano

    Il consenso informato, argomento caldo in questo periodo nel quale molti genitori sono obbligati alle vaccinazioni dei propri figli.
    Che valore assume un consenso informato se obbligatorio?
    Spesso si firma senza neppure capire di cosa si tratti oppure se in ASL si cerca di ottenere le informazioni necessarie per la firma del consenso ci si trova di fronte a personale medico impreparato o peggio ancora superficiale e la risposta può essere “sono milioni i bambini che sono stati vaccinati e non ci sono mai state reazioni avverse”. Falso, esiste una Legge dello Stato la 210 che indennizza i danneggiati da vaccino ed emotrasfusioni, le segnalazioni di reazioni avverse segnalate e documentate dall’ente preposto a farlo (AIFA) sono oltre trentamila nei registri dal 2014 al 2017.
    Cosa c’entra con la scuola? Ci troviamo dinnanzi ad un dilemma che coinvolge la scuola ma anche moltissime famiglie separate, Spesso i dirigenti scolastici si investono di un ruolo che non compete loro escludendo bambini dalla scuola e molto frequentemente gli studenti vengono riammessi con ritiro del decreto di esclusione perché in regola in quanto L’ASL non sa rispondere ne presentare documentazione a quei genitori informati che la richiedono prima della firma del consenso informato, pertanto questi bambini sono in regola con la normativa ma hanno subito un danno pur essendo sani. Peggio ancora quando nel caso dei genitori separati uno dei due è contrario alla vaccinazione e l’altro favorevole, ci sono casi in cui prima entrambe erano contrari ma poi dopo la separazione, o perché fa comodo durante la separazione, uno dei due usa l’arma in suo possesso contro l’altro diventando improvvisamente favorevole alle vaccinazioni pur di portare all’attenzione del giudice la prova che l’altro sia un genitore scellerato e irresponsabile.
    Casi dei nostri giorni, monitorati su tutto il territorio nazionale, sintomo di una legge sbagliata e inopportuna quella per l’obbligo di 10 vaccinazioni.
    Il consenso informato quindi in realtà, in questo caso è minato nei suoi fondamenti, si firma per mandare a scuola un bambino pur sapendo che quel bambino ha manifestato dei sintomi di reazione avversa durante la precedente vaccinazione e quel genitore vorrebbe soltanto approfondire l’anamnesi sanitaria prima di procedere con l’inoculazione dei vaccini. Non tutti sanno nonostante la firma frettolosa del consenso che oggi con l’attuale normativa in vigore alla tenera età di tredici mesi per essere in regola si inoculano ad un neonato minimo 26 vaccini, aggiungendo poi quelli fortemente raccomandati si passa ad oltre trenta. Una deriva della scienza?
    Che valore assume oggi un consenso informato quando la sua firma si abbina alla possibilità o alla negazione di un diritto sacrosanto come l’istruzione. Un attacco alla costituzione evidente che aliena i diritti dei minori, quelli dei genitori e che troppo spesso accade con la complicità di dirigenti scolastici, servizi sociali e medici compiacenti a negare ciò che ormai è evidente.
    Le reazioni avverse sono numerosissime ma i genitori firmano il consenso per costrizione.

  2. Francesco Palo

    Buongiorno, sono piacevolmente “sorpreso” in quanto ho letto, perché sembra che questa vicenda sia stata adeguatamente tenuta sotto stretto controllo, prima dai genitori e poi da chi ne cura l’aspetto legale. Resta sconcertante il fatto che siano trascorsi nove anni e praticamente quei bambini saranno già maggiorenni e potranno seguire i propri interessi anche da soli.
    Aspettiamo il 5 settembre (data del compleanno di mia figlia, compirà 17 anni e non la vedo da quando ne aveva sette). Magari riuscirò a vederla e leggeremo assieme le motivazioni. Tenete d’occhio i giudici, potrebbero fare le “solite” bassezze. Ciao a tutti

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