Premetto subito che non conosco le motivazioni della Sentenza della Corte di Appello di Lecce, di cui ormai parla l’Italia intera, che ha sancito il principio che un minore dodicenne può rifiutare gli incontri con uno dei due genitori.
Voglio sperare che, alla base di tale provvedimento giurisdizionale, vi siano fatti assolutamente gravi, tali da giustificarlo.
Intendo limitarmi a commentare soltanto il principio di questa sentenza.
Ritengo che esso sia inaccettabile e fuori dalla realtà.
La Legge 54/2006, che ha introdotto l’affidamento condiviso, ha sancito che i minori coinvolti in procedure di separazione e/o divorzio debbano essere sentiti nel procedimento se hanno compiuto dodici anni o anche prima a seconda della loro capacità di disconoscimento.
Tutto ciò in linea con le Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia.
Le dichiarazioni del minore, invero, non sono vincolanti, ma possono offrire al Giudice un quadro circa i desideri e le aspirazioni del minore stesso.
La questione più delicata riguarda come e da chi deve essere ascoltato il minore in tali procedure.
Sull’ascolto del minore c’è soltanto confusione.
C’è chi propende per l’ascolto diretto operato dal giudice procedente e chi (più saggiamente) propende per l’ascolto indiretto del minore operato da esperti di psicologia infantile.
Ma chi è in grado davvero di ascoltare un minore?
Possiamo affermare che i nostri Tribunali, nel loro complesso, siano attrezzati per una cosa del genere?
Salvo eccezioni, la risposta è no!
Tornando alla sentenza della Corte di Appello di Lecce e al principio “rivoluzionario” che essa introduce, non si può non rimanere preoccupati.
Se prendesse piede in Italia l’orientamento dei Giudici della Corte di Lecce, si aprirebbe un nuovo scenario che andrebbe a mortificare incoerentemente tutti i sacrosanti principi della bi genitorialità e dell’affidamento condiviso.
Basterebbe effettuare un “lavaggio del cervello” su un minore (cosa che già accade troppe volte) per indurlo a dichiarare di non voler stare con l’altro genitore. E il gioco è fatto.
Si spalancherebbero le porte alle strumentalizzazioni di cui il Diritto di Famiglia è già pieno e si autorizzerebbero condotte processuali piratesche e deontologicamente riprovevoli.
A mio parere, quando un figlio rifiuta un genitore e lo dichiara in un giudizio, devono essere espletati accertamenti seri ed immediati per capire se la sua volontà sia spontanea (e motivata seriamente) o invece si è in presenza di un plagio.
Non ci si può arrendere al primo colpo e dare per oro colato ciò che dichiara un minore al centro di un conflitto dei suoi genitori.
Occorre andare in profondità e non escludere affatto (anzi presupporre) che ci sia stato un condizionamento da parte dell’altro genitore.
Chi ha un minimo di esperienza in materia deve sapere che spesso uno dei due genitori progetta l’esclusione dell’altro nella vita dei figli.
Un addetto ai lavori non può limitarsi a ratificare la “volontà” di un bambino.
Troppo facile quanto imprudente.
Ritengo che la giurisprudenza non debba creare scappatoie per eludere la legge.
Gli orientamenti dei vari Distretti invece, essendo i più disparati, contribuiscono a creare una pericolosa confusione.
Ritengo, invece, che sull’affidamento dei figli urga una unicità di orientamenti.
Ora se un bambino rifiuta un genitore, poiché ci troviamo di fronte ad una scelta innaturale, deve scattare un meccanismo serio di recupero del rapporto genitore-figlio.
E non pensare che “la volontà” di quel minore sia sufficiente per prendere una decisione tanto grave quanto maledettamente incidente sui destini di una famiglia.
Insomma ciò che mi spaventa è una sorta di burocratizzazione del diritto di famiglia dove si pensa che due più due faccia sempre quattro.
Non è così.
Questa è la materia degli affetti e non delle cose!!!
L’approccio a tali problematiche, da parte degli addetti ai lavori, deve essere imperniato sull’analisi profonde delle parole e dei silenzi.
Nel diritto di famiglia deve funzionare così.
Quando un figlio rifiuta un genitore o viceversa bisogna guardare oltre il proprio naso.
Se, poi nel caso specifico di Lecce, sono emersi altri fatti, non riportati dai mass media, sul perché la figlia ha rifiutato di vedere il suo papà, come non detto.
Resta, tuttavia, la mia preoccupazione sul principio che la dichiarazione di un bambino in fase di ascolto sia sufficiente ad escludere dalla propria vita un padre o una madre.
Avv. Gian Ettore Gassani
Presidente Nazionale AMI