Separazione, il diritto di abitazione dei figli nella casa coniugale non è autonomo da quello dell’assegnatario

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La comunione legale è sciolta, l’immobile venduto: no all’intervento in appello del figlio maggiorenne, sì alla cancellazione della trascrizione effettuata dopo l’omologazione della “consensuale”. Lecita l’applicazione analogica dell’articolo 2668 Cc

Se papà e mamma si separano e decidono di vendere la casa coniugale comprata in comunione legale, i figli maggiorenni non possono mettersi di traverso accampando un autonomo diritto di abitazione nell’immobile. Fa bene il giudice non soltanto a escludere l’intervento dei figli nel processo d’appello ma parimenti a far cancellare la trascrizione del diritto di abitazione effettuata (anche) da questi ultimi. È quanto emerge dalla sentenza 22500/10, emessa dalla prima sezione civile della Cassazione (e qui leggibile come documento correlato).
Figli esclusi. Il verbale che omologa la separazione consensuale parla chiaro: la casa coniugale va a lei “e figli conviventi”, il mutuo e le spese condominiali gravano su di lui; una clausola prevede poi di vendere l’immobile, una scrittura privata attribuisce la procura all’ex moglie. Dopo la lite fra i coniugi separati sui rispettivi oneri, i crediti-debiti sono compensati: la comunione legale è sciolta, l’immobile ceduto all’asta, il ricavato diviso tra i comproprietari. Senza che il figlio, che nel frattempo non vive più con la madre, possa opporsi o ottenere i danni dai genitori: sbaglia il primo a sostenere che l’assegnazione della casa coniugale a tutela della prole ex articolo 155, comma 4, Cc sarebbe incompatibile con l’incarico di cedere il bene affidato alla madre; l’ipotesi che la prole sia titolare di un diritto di abitazione autonomo da quello dell’assegnatario dell’immobile va esclusa in base tanto al regime legale dell’assegnazione della casa coniugale quanto al contenuto di specie dell’atto di separazione; è anche la trascrizione del verbale omologato a impedire l’intervento in appello del figlio: l’atto di separazione trascritto, infatti, risulta di per sé opponibile ai terzi acquirenti del cespite (Cassazione 11420/09, arretrato 2 luglio 2009; 6179/09; 12385/06; 12114/06; 1997/03). Quanto al litisconsorzio necessario, preteso nella specie in favore dei figli, va ricordato che esso non scatta, ad esempio, tra proprietari condividenti usufruttuari del bene in comunione convenzionale: non può dunque invocarlo chi si proclama titolare di un mero diritto personale di abitazione (su comunione legale e trascrizione cfr. 22755/09, arretrato 6 novembre 2009).
Secundum Constitutionem. Resta da capire perché la Corte d’appello, laddove giudica inammissibile l’intervento in giudizio del figlio, abbia legittimamente ordinato di cancellare il diritto di abitazione trascritto (anche) da quest’ultimo. Il punto sta nell’applicazione analogica dell’articolo 2668 Cc, norma che pure parla di “domanda giudiziale” mentre nella specie a essere trascritto è il verbale di separazione. È vero: il giudice che decide per l’inammissibilità non può poi inserire nella sentenza argomentazioni sul merito (3840/07, arretrato 22 febbraio 2007). Ma qui è proprio il figlio che agisce contro la divisione a porre a fondamento del suo intervento il diritto all’abitazione, rivelatosi infondato. Se dunque il giudice può cancellare la trascrizione della domanda infondata, a maggior ragione può fare altrettanto con l’atto da cui risulta un diritto dichiarato inesistente dalla sentenza (su separazione e trascrizione cfr. invece 20144/09, arretrato primo ottobre 2009). (d.f.)

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