Le offese reiterate nei confronti del coniuge possono configurare il reato di maltrattamenti in famiglia.
È chiara la lettura offerta dalla Sesta Sezione penale della Cassazione la quale ha stigmatizzato che comportamenti abituali, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali, ingiuriose e offensive determinano la condanna per il reato di cui all’art. 572, c.p.( sentenza 28 dicembre 2010, n. 45547) .
Il delitto di “maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli” è previsto dall’art. 572 del codice penale -articolo inserito nel titolo XI del codice ricomprendente i delitti contro la famiglia e quindi nel capo IV in tema di delitti contro l’assistenza familiare- e prevede la condotta di chi “…maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte…” con una sanzione che, nella ipotesi base del primo comma, contempla la reclusione da uno a cinque anni.
La giurisprudenza dominante ha stabilito che tale fattispecie delittuosa consiste nella sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di vessazione continue tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, costituituenti fonte di disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di vita.
Una serie di atti lesivi dell’integrità fisica, della libertà o del decoro del soggetto passivo, nei confronti del quale viene posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la stessa convivenza particolarmente dolorosa: atti sorretti dal dolo generico integrato dalla volontà cosciente di ledere la integrità fisica o morale della vittima.
Quindi anche le ripetute offese possono integrare la fattispecie delittuosa in questione. Secondo il giudice, infatti, “tali condotte, costantemente ripetute, hanno evidenziato l’esistenza di un programma criminoso diretto a ledere l’integrità morale della persona offesa, di cui i singoli episodi, da valutare unitariamente, costituiscono l’espressione e in cui il dolo si configura come volontà comprendente il complesso dei fatti e coincidente con il fine di rendere disagevole e penosa l’esistenza della moglie”.
Avv. Claudio Sansò
Presidente AMI SALERNO
Sono contenta che si prenda in considerazione in modo serio anche il danno psicologico, che non è inferiore a quello fisico.