Il recentissimo ddl 2519 recante “Modifiche al codice civile in materia di riconoscimento e di successione ereditaria dei figli naturali”, approvato il 30 giugno scorso all’unanimità alla Camera dei deputati, e oggi all’esame del Senato – trattasi di testo unificato nel quale sono confluite le più significative proposte di riforma di iniziativa governativa degli ultimi anni – ha tralasciato inspiegabilmente di intervenire sull’ingiustificato permanere di una differenziazione del trattamento riservato ai figli anche in ambito processuale, come previsto dalla discussa legge di riforma 8.2.2006, n.54 in tema di “Disposizioni in materia di separazione e affidamento condiviso dei figli”.
Tale normativa, che avrebbe dovuto segnare una svolta in difesa degli interessi della prole coinvolta dagli effetti di una separazione personale dei propri genitori, ha totalmente mancato l’occasione di riuscire a realizzare una parificazione, oltre che sostanziale, anche processuale del trattamento da riservare ai figli tout court, legittimi o naturali; tant’è che, in relazione alle due forme di filiazione, continua a permanere la ripartizione di competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale dei Minori, in ossequio all’immutato art.38 disp.att. c.c.
Tale ultima disposizione così recita : ‹‹Sono di competenza del Tribunale per i Minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90, 171, 194 comma 2, 250, 252, 262, 264, 316, 317bis, 330, 332, 333, 334, 335 e 371 ultimo comma, nonché nel caso di minori dall’art. 269, primo comma, c.c. Sono emessi dal Tribunale ordinario i provvedimenti per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria…››; mentre l’art. 317 bis, in materia di regolamentazione dell’esercizio della potestà dei genitori non coniugati e non conviventi, con irragionevole disparità di trattamento rispetto alla famiglia legittima, dispone che la potestà vada attribuita al genitore convivente col figlio (o che lo abbia riconosciuto per primo), fermo restando il potere del giudice specializzato di stabilire diversamente nell’interesse della prole.
Ebbene, la disciplina sull’affidamento condiviso, ed in particolare il precetto enunciato nell’art.
In direzione di una tendenziale unificazione di competenze, il nuovo testo dell’art. 155 c.c. attribuisce per l’appunto ad un unico giudice (che pronuncia la separazione) il potere di provvedere in ordine all’affidamento e al mantenimento dei figli, respinta dunque la conservazione di un ingiustificato doppio binario di competenze riguardo ai diversi aspetti coinvolti, personali e patrimoniali.
Il Tribunale ordinario assume infatti il potere di adottare tutti i provvedimenti conseguenti (alla separazione e al divorzio) in ordine anche ai figli minori, nonché, sulla scorta del combinato disposto degli artt. 38 disp.att. cod.civ. e 261 cod.civ., i provvedimenti riguardanti il mantenimento della prole nata fuori del matrimonio, essendo il Tribunale per i Minorenni il giudice della potestà genitoriale e dell’affidamento al di fuori delle procedure di separazione e divorzio.
Intervenuta sul punto la Corte di Cassazione con ordinanza del 22 marzo 2007, n.8362, essa, pur rilevando che la nuova normativa potrebbe in concreto determinare l’insorgenza di un possibile conflitto di competenza, ha tuttavia sancito la sussistenza di fondamentali differenze tra la crisi della famiglia legittima e quella naturale, tanto che solo nel primo caso l’intervento del giudice si deve intendere necessario, mentre nel secondo soltanto eventuale; in particolare, il Tribunale per i Minori sarebbe competente ad adottare provvedimenti in ordine al mantenimento dei figli naturali solo se contestualmente venisse chiamato a pronunciarsi sull’affidamento degli stessi in base ai tradizionali criteri di riparto di competenza.
Si osserva, però, nel contempo, che tale ripartizione di competenze tra giudice ordinario e Tribunale dei Minori potrebbe risolversi in un limite per la fruibilità di alcuni rimedi giurisdizionali, come quello previsto dall’art. 708, 4° comma, cod.proc.civ., ovvero il reclamo alla Corte d’Appello come strumento di impugnazione non configurabile nel procedimento davanti al Tribunale dei Minori, in cui, come è noto, non è contemplata la suddivisione del giudizio tra fase presidenziale e fase istruttoria. A ciò si aggiunga lo speciale procedimento di ingiunzione previsto all’art. 148 cod.civ., non contemplato dalla riforma, strutturalmente incompatibile, per la medesima ragione sopra indicata, con il rito davanti al Tribunale dei Minori.
Il genitore di prole naturale che volesse quindi agire per ottenere il decreto ingiuntivo di cui all’art. 148 cod.civ. non potrebbe far altro che adire il Tribunale ordinario, essendo quest’ultimo titolare esclusivo della competenza su questioni di carattere economico.
In attesa di veder finalmente istituito un Tribunale della Famiglia al quale riconoscere competenza esclusiva sull’intera materia, e che anche la Corte costituzionale decida di rivedere la propria posizione sulla filiazione (il riferimento va alla “parità di trattamento nella diversità” enunciata nella recente pronuncia della Corte Costituzionale del 14.12.2009, n.335, in cui si celebra il permanere di ingiustificate differenziazioni tra figli con riguardo al diritto di commutazione), a noi sembra che la tutela giurisdizionale degli interessi del minore dovrebbe concentrarsi interamente sul Tribunale dei Minori, sia in ordine ai profili personali dei rapporti tra genitori e figli, sia in ordine agli aspetti patrimoniali; del resto, già a norma dell’art. 277, 2° comma, cod.civ., in relazione al procedimento di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, si stabilisce che “il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui”.
Maria Rosaria Basilone