L’infedeltà reciproca è, di per sè, un motivo di disgregazione spirituale fra moglie e marito tale per cui la separazione non può essere addebitata a nessuno dei due coniugi.
La Cassazione ha affrontato il tema della c.d. “coppia aperta” con la sentenza n. 9074/11 rigettando il ricorso di un facoltoso imprenditore – ma anche quello incidentale della moglie – che aveva richiesto l’addebito della separazione alla donna in considerazione della ben nota relazione extraconiugale mantenuta in costanza di matrimonio.
Il tradimento era da molti anni reciproco e frutto della comune scelta di instaurare un regime coniugale improntato a reciproca autonomia e libertà sentimentale, decidendo di vivere sotto lo stesso tetto, ma su piani diversi della casa, e di coltivare abitudini, stili di vita, interessi e svaghi non coincidenti.
Il Tribunale di Milano addebita la separazione alla moglie in virtù del tradimento emerso, ma la Corte d’Appello ribalta il verdetto accogliendo il gravame di lei ed eliminando l’addebito. La Cassazione sposa le argomentazioni dei giudici d’appello sottolineando come la reiterata inosservanza da parte di entrambi i coniugi dell’obbligo di reciproca fedeltà, pur se ricorrente, non costituisce circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione in capo all’uno o all’altro o ad entrambi, essendo sopravvenuta in un contesto già di disgregazione della comunione spirituale e materiale tra coniugi, ed in particolare in un’emersa situazione già stabilizzata di reciproca sostanziale autonomia di vita, non caratterizzata da alcuna affectio coniugalis.
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