L’immobile destinato all’esercizio della professione di uno dei coniugi, a differenza di quello destinato all’esercizio dell’impresa dopo il matrimonio, non cade in comunione legale. E’, però, necessario, ex art. 179 c.c., che l’atto di esclusione risulti dall’atto di acquisto, al quale abbia partecipato anche l’altro coniuge. E’ quanto ha stabilito la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la recente sentenza 2 febbraio 2012, n. 1523.
L’art. 179 c.c prevede che non cadono in comunione, tra gli altri, i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione. Il successivo comma 2 precisa che l’acquisto dei beni immobili o mobili, di cui all’art. 2683 c.c., effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto al quale abbia partecipato anche l’altro coniuge.
La natura giuridica e i limiti di efficacia della dichiarazione del coniuge non acquirente, partecipe all’atto di compravendita, secondo la Suprema Corte, si atteggiano diversamente a seconda che la personalità del bene dipenda dal pagamento del prezzo con i proventi del trasferimento di beni personali, o dalla destinazione del bene all’esercizio della professione dell’acquirente. Solo nel primo caso la dichiarazione del coniuge non acquirente assume natura ricognitiva del tipo confessoria dei presupposti di fatto già esistenti.
Viceversa, nel secondo – che è quello esaminato dal giudice nomofilattico – esprime la mera condivisione dell’intento altrui. Si tratta in sostanza, in questa ultima ipotesi, di una “dichiarazione di intenti” alla quale non può riconoscersi natura ricognitiva confessoria. Ne consegue che la successiva azione di accertamento della comunione legale sul bene acquistato, mentre è condizionata, nella prima ipotesi, dal regime di prova legale della confessione stragiudiziale, superabile nei limiti di cui all’art. 2732 cod. civile, per errore di fatto o violenza, nella seconda implica solo la prova dell’effettiva destinazione del bene, indipendentemente da ogni indagine sulla veridicità o falsità della dichiarazione di intenti resa.
Si tratta quindi di un accertamento circa l’effettiva strumentalità dell’immobile alla professione o all’esercizio dell’impresa costituita dopo il matrimonio da uno dei coniugi. Con la conseguenza che solo in quest’ultimo caso i beni, inclusi quelli immobili, fanno parte della comunione legale se e nei limiti in cui sussistano alla data del suo scioglimento. L’esclusione definitiva dalla comunione di immobili e mobili registrati, alle condizioni previste dall’art.179, comma 2, c.c., riguarda, infatti, solo i beni destinati all’esercizio della professione (art. 179, comma 1, lettera d); e non pure i beni destinati ad un’impresa costituita dopo il matrimonio.
Per quanto concerne la partecipazione del coniuge all’atto pubblico di compravendita stipulato dall’altro, secondo la Corte, questi non è da considerarsi una parte contrattuale in senso proprio, essendo il suo intervento finalizzato solo ad escludere dalla comunione il bene acquistato, mediante una dichiarazione priva di natura negoziale, in quanto non manifestazione di volontà bensì dichiarazione di scienza. In questo senso, resterebbero irrilevanti, ai fini della validità dell’intero contratto, eventuali incapacità o stati soggettivi, alterati o patologici, suoi propri.
Con riferimento alla funzione logica di tale dichiarazione esistono due filoni giurisprudenziali, il contrasto tra i quali ha determinato la rimessione della questione alle Sezioni Unite, che si sono poi pronunciate con l’importante sentenza 28 ottobre 2009 n.22755, nella quale viene affrontata la questione relativa alla definizione della natura, ricognitiva o meno, della dichiarazione adesiva prestata dal coniuge non acquirente e quella relativa alla destinazione personale del bene oggetto del contratto ai fini dell’esclusione della comunione.
Secondo un primo indirizzo, che accoglie un’interpretazione letterale della norma ex art. 179, lett. f) c.c., l’intervento adesivo del coniuge non acquirente sarebbe condizione necessaria e sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, indipendentemente dall’effettiva natura personale del bene; altro indirizzo, invece, ritiene che tale dichiarazione sia condizione necessaria, ma non sufficiente posto che, a tal fine, sarebbe indispensabile il concorso di entrambi gli elementi: dichiarazione adesiva del coniuge non acquirente da un lato e l’effettivo impiego del bene per scopo personale dall’altro. La carenza di uno soltanto di questi elementi determinerebbe l’inclusione del bene nella comunione, perché l’effetto limitativo della comunione si produce solo “ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma”, vale a dire solo se i beni sono effettivamente personali. La Suprema Corte, aderisce a questo secondo indirizzo. Pertanto, ai fini di comprendere se l’acquisto effettuato in costanza di matrimonio dai coniugi in regime di comunione legale appartenga o meno alla medesima in presenza di una dichiarazione del coniuge non acquirente circa la destinazione ad uso personale del bene in questione è indispensabile guardare all’effettivo impiego dello stesso. L’intervento adesivo del coniuge non acquirente può dunque rilevare solo come prova dei presupposti di tale effetto limitativo, quando, come s’è detto,assuma il significato di un’attestazione di fatti. Ma non rileva come atto negoziale di rinuncia alla comunione. Nell’ipotesi in cui la natura personale del bene che viene acquistato sia dichiarata solo in ragione di una sua futura destinazione, sarà l’effettività di tale destinazione a determinarne l’esclusione dalla comunione, non certo la pur condivisa dichiarazione di intenti dei coniugi sulla sua futura destinazione. Secondo il sistema definito dagli art. 177 e 179 comma 1 c.c., infatti, l’inclusione nella comunione legale è un effetto automatico dell’acquisto di un bene non personale da parte di alcuno dei coniugi in costanza di matrimonio. Ed è solo la natura effettivamente personale del bene a poterne determinare l’esclusione dalla comunione.
D’altra parte, se il legislatore avesse voluto riconoscere ai coniugi la facoltà di escludere ad libitum determinati beni dalla comunione, lo avrebbe fatto prescindendo dal riferimento alla natura personale dei beni, che condiziona invece gli effetti previsti dall’art. 179 comma 2 c.c..
In conclusione, si possono quindi riassumere due punti fondamentali:
a) riguardo alla natura ed all’efficacia della dichiarazione del coniuge non acquirente, delle due l’una: o il bene è già destinato all’uso personale e allora il coniuge non acquirente al momento dell’acquisto ne conferma la destinazione già esistente con dichiarazione avente evidente valore ricognitivo (dei presupposti necessari per l’operatività dell’esclusione), oppure se il bene acquistando non è già utilizzato come bene personale, ma tale destinazione è soltanto programmata, allora la dichiarazione non avrà valore ricognitivo né potrà, di per sé, dispiegare effetti ai fini della sottrazione del bene alla comunione, essendo altresì indispensabile a tal fine l’effettivo impiego del bene per fini personali del coniuge acquirente.
Nel primo caso, dunque, la dichiarazione sarà condizione necessaria e sufficiente all’esclusione, nel
secondo solo condizione necessaria;
b) la mancata effettiva destinazione ad uso personale del bene dichiarato tale nell’atto di acquisto può essere oggetto di autonomo successivo accertamento giudiziale su domanda del coniuge interessato, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente fosse intervenuto nel contratto per aderirvi. A tal fine, la dichiarazione resa dal coniuge non acquirente avrà valore probatorio di confessione stragiudiziale, revocabile nei limiti dell’art. 2732 c.c., se dotata di natura ricognitiva, ovvero di prova liberamente valutabile se priva di natura ricognitiva, dovendosi, in questo caso, accertare l’effettiva destinazione del bene, indipendentemente dall’indagine sugli intenti dei coniugi.…
Immobile ad uso professionale: è fuori dalla comunione dei beni
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