Tutti hanno ancora nella mente l’episodio di quel bimbo di Cittadella che fu trascinato dalla Polizia e portato via da scuola davanti agli occhi di tutto il mondo.
Il filmato fu ripreso da una zia materna del ragazzo e postato successivamente su You Tube. Una scena orrenda. Un vero incubo non solo per questo povero ragazzino, ma per chiunque fosse dotato di un minimo di sensibilità.
Devo dire che quella scena mi ha fatto male, sia come padre che come avvocato matrimonialista. Sarei bugiardo e disonesto se sostenessi di non essere a conoscenza di altri simili episodi come questo. L’esecuzione dei provvedimenti, specie quelli minorili, può avvenire anche in questo modo. E lo sappiamo bene. Posso solo augurarmi che in futuro vicende di questo tipo non accadano più.
Ma a mio parere il problema è un altro. Tutti ci siamo indignati davanti a quell’episodio. Si sono creati due partiti, quello a favore del papà del minore e quello pro mamma. Altri si sono scagliati contro la Polizia, come se fosse l’unica responsabile di questa tragedia umana e mediatica. Altri ancora hanno censurato l’operato dei giudici, responsabili di aver atteso tre anni prima di decidere di attuare il grave provvedimento che avevano emesso nei confronti della madre del minore.
Insomma, come sempre nel nostro Paese, davanti a tale episodio, si sono creati scontri e partiti, non tanto a difesa del povero ragazzo quanto a sostegno delle proprie tesi di sempre.
E poi la PAS. Altri due partiti. Esiste la PAS? È una pura invenzione di Gardner? È così l’Italia si è spaccata anche su questo.
Intanto il bambino, nel frattempo, era stato prima catturato e poi rinchiuso (“nel suo interesse”) in una casa famiglia. E così altre polemiche contro le case famiglia. Poi il colpo di scena, a distanza di sei mesi. La Suprema Corte di Cassazione spazza via le varie sentenze dei giudici minorili censurando la motivazione del provvedimento della Corte di Appello di Venezia e mettendo in forte discussione la PAS.
Con grande sforzo non entrerò nel merito della vicenda. Sarebbe ingiusto e imprudente per chi, come me, (e siamo in sessanta milioni) non ha letto le carte processuali della vicenda di questo bambino conteso.
Tuttavia non posso non restare basito sui metodi processuali adottati in questi anni in cui si è detto e deciso tutto e il contrario di tutto.
Possibile mai che sulla medesima vicenda ci siano stati giudizi così discordanti, così lenti, così errati? È questo il vero problema da cui poi sono scaturiti tutti gli altri.
Ma davvero questo minore è stato tutelato dalla giustizia?
Se la PAS non esiste, c’è bisogno della Cassazione che si pronunci in tal senso a distanza di anni?
A me questa situazione fa molta paura. Lo dico come avvocato e poi, ovviamente come genitore. Il diritto di famiglia non può sbagliare fino a questo punto su questioni tanto delicate.
Questa stucchevole formuletta “nell’interesse del minore” è diventata un apodittico paravento per sostenere qualsiasi tesi. Non ne posso più di leggerla. Vorrei, anzi pretendo, che i provvedimenti giurisdizionali in materia familiare/minorile fossero motivati in modo preciso ed esaustivo, quasi paranoico. Vorrei che le procedure fossero veloci. Si, perché quando un bambino diventa “conteso” lo Stato non ha tempo da perdere.
Ora esistono i negazionisti della PAS che esultano. Ma io credo che ci sia poco da esultare. Nessuno può negare che un bambino, diventato pomo della discordia, non subisca traumi irreversibili nel vedere due genitori che si odiano a morte per tutta la vita, tra denunce e tribunali.
E non c’era bisogno di Gardner per capire che quando un genitore è un mascalzone diventa il primo nemico dei figli. Che sia una sindrome riconosciuta o no è aria fritta.
Non vorrei, pertanto, che la Cassazione con la sua sentenza abbia involontariamente fatto abbassare la guardia alla lotta contro i genitori canaglia che tante volte ho guardato negli occhi in questi anni nelle aule di giustizia.
Adesso, più che mai, la questione è culturale. Fin quando i genitori che si separano non capiranno che “è vietato farsi scudo dei figli” per punire l’altro, non troveremo più pace.
Il caso di Cittadella è solo la punta di un iceberg profondissimo. Ci sono casi molto più gravi in Italia tutti i maledetti giorni, con l’unica differenza che questi non sono andati a finire su You Tube.
Ma c’è tanto odio nei tribunali perché c’è tanto odio nelle famiglie disgregate.
È proprio l’odio che va prevenuto e combattuto sin dall’inizio del processo, anche con sistemi durissimi.
I genitori non sono padroni dei figli. E quando si sentono tali solo per averli generati, ci vorrà qualcuno che ricordi loro che i figli sono persone, non oggetti.
I figli hanno diritti soggettivi pieni come sostenne per la prima volta il compianto Alfredo Carlo Moro. Non sono pedine, non sono merce di scambio, non sono “oggetti di mamma”, non sono “oggetti di papà”.
Sembra un concetto banale, eppure in questo nostro Paese anche il banale ed il normale sono di difficile comprensione.
Va riqualificato completamente il sistema giuridico-giudiziario, specie in ambito minorile. C’è bisogno di addetti ai lavori preparati, equilibrati, autorevoli, indipendenti. E poi c’è bisogno di un nuovo modo di essere e sentirsi genitori.
Noi avvocati esercitiamo un ruolo fondamentale ed incidiamo profondamente nelle scelte dei nostri assistiti. Noi non dobbiamo solo offrire consulenze e assistenza legale. Dobbiamo formare le coscienze, bloccare sul nascere le strumentalizzazioni in danno dei figli. Dobbiamo sbattere fuori i genitori da quattro soldi. Dobbiamo sentirci i difensori dei figli, giammai dei genitori.
E così i giudici dovranno organizzare i loro uffici, operare secondo prassi consolidate, decidere in fretta. Altrimenti assisteremo ancora per secoli alla distruzione dei sogni e dei diritti di tanti bambini.
La nostra Associazione sta lavorando da anni per cambiare le cose e il modo di operare dell’avvocato matrimonialista. Continueremo a difendere il nostro sacro ruolo di difensori nel rispetto dell’art. 24 della Costituzione. Ma per portare avanti questo programma dobbiamo essere i primi a dare il buon esempio.
Prima di mettere nel tritacarne di un processo all’italiana un bambino conteso dovremmo pensarci mille volte, specie se a casa ci aspettano i nostri figli…
Roma, il 28 marzo 2013
Avv. Gian Ettore Gassani
Presidente Nazionale AMI
da oltre dieci mesi non riesco a vederlo. Oltre a questo, alla battaglia per ottenere l’affidamento condiviso, quello che più mi preme è che qualcuno si prenda cura della salute psicologica di mio figlio, visto che sta lanciando segnali inequivocabili di un disagio da non ignorare. Non potrò mai dimenticare quello che ha detto la presidente del tribunale durante l’ultima udienza in cui chiedevamo il riconoscimento delle gravi inadempienze da parte del padre nella gestione dell’affidamento e nella crescita del bambino: “non è poi così grave se non vede suo figlio da tutto questo tempo, in fondo sta con il padre”. Mi sono sentita morire”. Claudia che ha ancora la patria potestà sta facendo di tutto per aiutare il figlio nonostante tutte queste difficoltà. E attende l’appello per poter finalmente riabbracciare il suo bambino.
spesso chi tiene convegni e scrive libri sul condiviso x poi sugli atti di causa scrivere che quella madre soffre della sindrome dell’ex moglie …… visto che questi avvocati si considerano ora anche psichiatri del tribunale
La zia andrebbe condannata almeno a un anno di galera ed a farle compagnia dovrebbero andarci anche i giudici che si sono “occupati” della vicenda. Queste sono vicende di facile e breve risoluzione basta partire dall’equità e dal vero interesse del minore e facendo conseguire severe pene per chi trasgredisce.
L’Unica strada è la mediazione e la bigenitorialità.
finchè ci saranno periti, avvocati e giudici a stabilire che uno è buono e l’altro no, non si va da nessuna parte creremo solo odio e sofferenza.
C’è bisogno di dialogo e nondi buttare benzina sul fuoco.
Prega e cerca di avere pazienza soprattutto perdona senza che il rancore cresca in te.
Un abbraccio a Claudia ed a tutti i genitori considerati di serie B
Pasquale
come mai, in questo lungo articolo non c’è una sola parola di commento sui servizi pubblici per la famiglia separata, o sulle associazioni, e nemmeno una parola sulla mediazione familiare? Un modo per dirimere controversie, rendere maneggiabili i conflitti, spesso alimentati ( purtroppo) anche da avvocati senza scrupoli.