Con ordinanza interlocutoria n.14329 del 6 giugno scorso, la Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione ha deciso di interpellare la Corte costituzionale in merito alla legittimità dell’art. 4 della l. n. 164 del 1982, nella formulazione anteriore all’abrogazione intervenuta per effetto dell’art. 36 del d.lgs. n. 150 del 201, la cui applicazione – ammessa in primo grado – ha determinato lo scioglimento immediato del matrimonio di una coppia di coniugi che, a causa del sopraggiunto cambio di sesso di uno dei due, senza volerlo, si è ritrovata improvvisamente divorziata. Per la Cassazione “tale soluzione obbligata pone l’interrogativo della sua compatibilità con il sistema costituzionale” interno ed europeo – quest’ultimo secondo la formulazione dei principi enunciati nel Trattato Cedu e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – e con “l‘autodeterminazione nelle scelte relative all’identità personale” riguardanti il diritto del coniuge di poter decidere liberamente – in presenza di un cambiamento di identità sessuale dell’altro – se proseguire o meno il rapporto.
La vicenda che ha generato la controversa questione risale al 2009, quando un coniuge-marito, intrapresa la decisione di cambiare sesso in piena armonia con la moglie, decide di avviare il relativo giudizio di rettifica di sesso dinanzi al Tribunale competente che, accolta la richiesta ai sensi dell’art. 2 della legge 164 del 1982, contestualmente dà ordine all’ufficiale di stato civile di procedere alle annotazioni del caso nei registri degli atti dello stato civile e del matrimonio.
Alle annotazioni relative al cambio di sesso, tuttavia, ai sensi dell’articolo 4 della citata legge, si aggiunse anche quella relativa all’automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio, che la legge nazionale sul divorzio n.898/1970 e le successive modifiche introdotte con la l. n.74/1987 non avevano provveduto ad abrogare; dal che il ricorso dei due coniugi contro il Ministero degli interni dinanzi al Tribunale del luogo dove venne celebrato il rito. Ma, se in primo grado, la coppia riesce a spuntarla in ragione del mancato accertamento giudiziale avente ad oggetto lo scioglimento del vincolo secondo le previsioni di cui alla l.898/1970; in appello, invece, si assiste a un ribaltamento del verdetto, ignorata del tutto la ormai consolidata esigenza di un riconoscimento di rango costituzionale anche alle unioni omosessuali per “il rilievo primario di formazioni sociali” enunciato all’art.2 Cost. e avallato dal principio di uguaglianza di cui all’art.3, oltreché all’art.12 Cedu che ammette modelli matrimoniali aperti anche alle coppie omosessuali. Per tale ragione, la Prima Sezione Civile della Cassazione ha rilevato la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del divorzio imposto ex lege alla coppia coniugata, toccata durante il ménage dalla rettifica di sesso di un suo componente, contestando altresì l’inaccettabile ingerenza statuale nella libertà di autodeterminazione dell’individuo che non può e non deve ammettere deroghe di sorta.
Molteplici i parametri costituzionali coinvolti: gli artt. 2 e 29 Cost. e 8 e 12 Cedu, quest’ultimo da leggersi in combinato disposto con l’art.8 della Carta dei diritti dell’Unione europea in difesa del matrimonio omosessuale (si ricordi la fondamentale la sentenza Cedu 24.6.2010, caso Schalk e Kopf), oltre agli artt. 7, 9, 20 e 21 sempre della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea in relazione al necessario previo accertamento giudiziale finalizzato alla pronuncia di scioglimento del matrimonio.
La pronuncia è straordinaria perché riflette, sebbene con ritardo, il clima di profonda trasformazione politico sociale in atto anche nel nostro paese, nel quale appare ormai improcrastinabile – sulla scia evolutiva tracciata da altri paesi europei in tema di tutela dei diritti fondamentali della persona – la realizzazione dei programmi di parificazione dei diritti individuali anche nella dimensione familiare, fuori da qualunque condizionamento o discriminazione. Ed è per questo che, in verità, a noi sembra che la questione sollevata dalla Prima Sezione della Cassazione celi il proposito – di portata ben più ampia rispetto all’oggetto specifico del rinvio attinente il profilo della legittimità costituzionale della norma – di coinvolgere la Consulta in un’attività di impulso e promozione di un sostanziale intervento legislativo in difesa delle unioni civili fra persone dello stesso sesso.
A tal fine, infatti, la nostra Suprema Corte chiama a supporto specifici precedenti espressi in materia dalla Corte Costituzionale tedesca (nr. Bvl 10/051) e dall’austriaca (2006), e soprattutto dalla Corte Europea che, nel dirimere la questione tra un cittadino finlandese ed il proprio paese (novembre 2012), aveva sancito la correttezza della disposizione interna che richiedeva al cittadino, nel caso di rettifica del sesso dopo la celebrazione del matrimonio, di modificare il matrimonio nel diverso regime della unione civile, prevista in quel paese, anche tra persone del medesimo sesso.
La Corte di Cassazione, dunque, nel rinvenire l’esistenza del fondamento costituzionale, sia interno che europeo, delle unioni civili, sembra voler anticipare la Consulta nella celebrazione (evidente) dell’imminente ingresso di un sistema di garanzie delle stesse: “Il carattere dell’eterosessualità non costituisce più, di conseguenza, un canone di ordine pubblico né interno (Corte Cost.n. 138 del 2010; Cass, 4184 del 2012) né internazionale (CEDU sentenza Schalk e Kopf); le unioni che siano fondate su una stabile e continuativa affectio, ancorché non riconducibili al modello matrimoniale, ricevono la copertura costituzionale diretta dell’art. 2 Cost. nonché dell’ art. 8 della CEDU (Caso Schalk e Kopf). Tale riconoscimento non si limita alla libertà di vivere la propria condizione di coppia ovvero di non nascondere le scelte riguardanti la sfera emotiva individuale, ma si estende al riconoscimento della situazione oggettiva della stabile convivenza e dei diritti che conseguono alla creazione e al consolidamento di questa formazione sociale costituzionalmente e convenzionalmente garantita.
Avv. Maria Rosaria Basilone – AMI Lazio