Il figlio maggiorenne ed economicamente indipendente non ha diritto al mantenimento anche se riconosciuto giudizialmente e se l’inserimento ab origine nella famiglia paterna gli avrebbe garantito una migliore posizione sociale.
E’ quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 20137 depositata in data 3 settembre u.s.
Nello specifico, una donna, nata da una relazione tra la madre ed un uomo che non l’aveva riconosciuta, adiva il Tribunale chiedendo che fosse dichiarato il proprio stato di figlia naturale, con condanna del padre al mantenimento, oltre a chiedere di assumere il cognome paterno.
Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria (prove orali e consulenza tecnico di ufficio medico-legale, in relazione alla quale il padre si era rifiutato di sottoporsi alle prove ematologiche), accoglieva la domanda della ragazza, dichiarava il convenuto padre naturale, lo condannava a versarle un assegno mensile a decorrere dalla data del deposito del ricorso per l’ammissibilità del giudizio e autorizzava parte ricorrente ad aggiungere il cognome del padre al proprio.
La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado.
Contro tale sentenza, il padre presentava ricorso in Cassazione basato su quattro motivi riguardanti l’assegno di mantenimento.
La Suprema Corte ha, preliminarmente, valutato la situazione economica della donna, la quale risultava dotata di una stabile occupazione e di una indipendenza economica.
Inoltre, non ha data alcun rilievo al fatto che, se la ricorrente fosse stata inserita ab inizio nella famiglia paterna, avrebbe goduto di maggiori opportunità sociali e lavorative.
La Corte chiarisce che, con l’atto introduttivo della controversia, la ricorrente ha chiesto la condanna del padre al suo mantenimento e non anche la condanna dello stesso al risarcimento dei danni da questa subiti a causa dell’omesso riconoscimento del padre.
L’assegno di mantenimento, infatti, non può essere equiparato ad un risarcimento del danno e, pertanto, può essere concesso al figlio solo se sussistono determinati presupposti di Legge e, cioè, la mancata indipendenza economica del figlio.
Ciò premesso, la Cassazione, ritenendo che i giudici di merito avrebbero dovuto esaminare la pretesa economica alla luce della domanda attorea e cioè, alla luce delle norme e dei principi riferibili alla corresponsione dell’obbligo di mantenimento e non dell’obbligo risarcitorio, accoglie il ricorso del padre, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di condanna dell’assegno di mantenimento in favore della figlia.
In ordine alle spese, però, La Suprema Corte condanna il padre relativamente alla pregressa fase di ammissibilità ed ai due gradi di merito. Mentre compensa per intero le spese del giudizio di legittimità per la natura del rapporto controverso e per la peculiarità della vicenda.
Avv. Marianna Grimaldi
(Segretario AMI Salerno)