Intervista a cura di Gilda Fasolino.
1) “Avvocato Volpe, Lei da qualche giorno è responsabile di un gruppo di giovani avvocati iscritti all’AMI, GiovAMI. Può dirci quali sono i programmi di questo gruppo?”
I programmi di questo gruppo dovranno tendere all’obiettivo di consentire a quei Giovani Professionisti che si ritrovano nei valori fondanti la nostra Associazione, di avere più agevoli possibilità per esercitare la loro professione all’interno del complesso mondo della Giustizia. Per far ciò si dovrà programmare un progetto per guidarli e sostenerli al fine di permettere loro di acquisire le capacità tecniche ed umane utili ad esercitare, soprattutto, nel campo del diritto di famiglia e delle tutele dei diritti delle persone. In questo senso due prime idee che, già, in questi giorni mi stimolano molto sono dirette verso la creazione di una collana giuridica fatta da giovani per i giovani dal taglio schematico e versatile nonchè verso l’organizzazione di un Campus estivo durante il quale, utilizzando le numerose eccellenze del mondo targato AMI, poter offrire un corso dal taglio fortemente pratico culminante in una prova finale volta a premiare i migliori con piccoli stage negli studi legali più noti d’Italia.
2) Molto presto anche le altre sezioni dell’AMI avranno GiovAMI. Cosa ritiene che l’AMI debba proporre nella sua azione di politica forense per tutelare i giovani avvocati?
Da tempo numerose associazioni che si occupano di politica forense, l’AIGA su tutte, svolgono un’azione seria e mirata volta alla tutela dei giovani avvocati. Come AMI credo sia possibile fare qualcosa di diverso. I giovani avvocati, nei primi anni della loro carriera, sono affamati di sapere. Ovviamente non mi riferisco al sapere scientifico del quale sono più che intrisi stante il recente percorso universitario ma di quel sapere che nel mondo del diritto civile è chiamato know how. Ecco, per i giovani, spesso, troppo spesso, (penso, soprattutto, a tutti quanti non hanno la fortuna di avere un familiare che già esercita nel mondo del diritto) è troppo complicato l’accesso ad un pratica forense efficace e proficua. Pertanto, dovrà prodursi uno sforzo nel senso di assicurare ai giovani colleghi il possesso degli strumenti utili ad essere messi nelle migliori condizioni di esercitare la professione. Inoltre, sarà necessario meditare sull’istituto del gratuito patrocinio a spese dello Stato che, molte volte, rappresenta croce e delizia dei giovani avvocati, stritolati come sono dalla necessità di esercitare e quelle di vedere frustrate le proprie legittime pretese economiche. Ultimo ma non ultimo solo una macchina della Giustizia efficacie e rapida potrà garantire ad un giovane collega di potersi affermare. Non è sostenibile per nessun avvocato ma ancora meno lo è per un debuttante che il processo che si appresta ad iniziare sia destinato a durare, in media, 788 giorni, durante i quali il giovane collega rimane schiacciato tra il proprio cliente e la lentezza della macchina della giustizia.
3) Qual è il Suo ricordo più bello legato all’AMI?
Pescarne uno tra tanti non è facile ma non mi sottrarrò. Roma, dicembre 2011, mio primo congresso nazionale AMI. Dopo una giornata di splendide relazioni mi decido, vista la possibilità, di rivolgere una domanda al Presidente Gassani e agli illustri relatori. Decisi, però, di fare una premessa alla mia domanda e mi avventurai a sottolineare che per fare questo splendido mestiere ritenevo di avere, in un Paese bello ma particolare come il nostro, tre insormontabili difetti: 1. Essere giovane; 2. Non essere un “figlio di”; 3. Non avere un grosso studio alle spalle. Ecco, in quell’istante, dalla reazione degli altri associati, dei relatori e del Presidente Gassani, capì di far parte di un progetto unico nel quale quei tre “difetti” venivano stimati come qualità. Anni dopo, la nascita di giovAMI mi dà piena conferma di quella bellissima sensazione.
4) Quale sarà l’avvocatura del futuro secondo Lei?
Il mondo è cambiato più velocemente negli ultimi cinquant’anni che nei precedenti millenni. E così anche l’avvocatura che di quel mondo deve sapersi fare interprete e protagonista. Certamente, il modus operandi dell’AMI deve divenire il paradigma di come si fanno le cose nel mondo dell’avvocatura. La caratteristica della multidisciplinarietà, solo per fare l’esempio più evidente, dovrà divenire caratteristica comune dell’intera categoria. E poi, auspico che l’avvocatura del futuro torni ai valori dell’avvocatura del passato. L’avvocato dovrà ritrovare il proprio ruolo di intellettuale e saper ribadire l’essenzialità del suo ruolo e della sua funzione sociale.
5) Quale è e quale sarà il ruolo dell’associazionismo forense nel nostro Paese?
L’associazionismo, da sempre, è un mirabile gioco di squadra in cui il singolo ha l’eccezionale occasione di crescere grazie agli associati e di poter dare il proprio contributo per la crescita degli altri. Questo vale, senza distinguo, per l’avvocatura. Fino ad oggi l’associazionismo forense si è dedicato, ottimamente nel caso dell’AMI, a curare il segmento Giustizia con riferimento alle proprie esigenze di avvocatura. In futuro, credo sarà necessario ampliare il campo di azione e rivolgersi anche ad altri segmenti dello stesso mondo. Per esempio, un’associazione come l’AMI ritengo abbia tutte le caratteristiche per intensificare i proprio rapporti con il mondo universitario, per portare anche lì il proprio modo di fare le cose (multidisciplinare, avanzato, libero, ecc.). Altro obiettivo potrebbe essere quello della diffusione dei propri valori alla gente. L’AMI è dotata di un codice etico. Bene, si dovrà trovare il modo che gli utenti, i cittadini, questa cosa la sappiano e abbiano gli strumenti per saperla valutare. Concludendo, l’associazionismo forense del futuro dovrà trovare il modo di raggiungere anche ciò che forense non lo è, quanto meno, in senso stretto.
6) Ci parli di Lei. Perché ha scelto di fare l’avvocato?
Questa è la domanda più complessa. Non è mai facile parlare di sé. Pugliese verace ma per metà di sangue romano, ho sempre esercitato dividendomi tra Trani, Bari e Roma, occupandomi sia del settore civile che di quello penale.
La scelta di fare l’avvocato è cresciuta nel tempo e si è fortificata sempre più anche in base ad episodi che mi hanno portato alla convinzione che c’è chi fa l’avvocato e c’è chi è un avvocato. Ebbene, ad un certo punto maturai la decisione di voler essere un avvocato. Sin dai tempi del liceo i compagni di scuola mi soprannominavano “avvocato” per la mia naturale propensione a difenderli in ogni occasione davanti professori, dirigenti scolastici, genitori. Poi, la decisione di iscrivermi alla facoltà di giurisprudenza più per curiosità che per profonda convinzione. Ed è solo con lo studio del diritto che c’è stata la folgorazione. In particolar modo, ho avuto la fortuna di incontrare, nel mio percorso universitario, dei veri e proprio fuoriclasse del diritto (alcuni di loro allievi di giuristi del calibro di Giannini, Dell’Andro e Moro, solo per citarne alcuni) che hanno suscitato una vera e propria passione per questa scienza. Tra questi, tre spiccano su tutti. Il Prof. Tucci (diritto privato), che durante una pausa mi regalò un dei più bei libri che abbia mai letto, Processare il Nemico di Demandt; il Prof. Bozzi (Filosofia del Diritto), che mi ha insegnato il vero significato della democrazia e il Prof. Balena (diritto processuale civile), che ha saputo rendere la procedura civile un’arte. E poi perché con il tempo ho visto che come creta, ogni giorno, qualcuno mette la sua vita nelle mie mani, lasciando che la maneggi con una cura ed una sapienza che, spesso, stupiscono me stesso. Ogni giorno qualcuno si fida di me, si affida a me. Ed io, come ultimo baluardo delle sue ragioni, dei suoi diritti spesso violati, mi sento nato e pronto per difenderlo, per assisterlo, per essere il suo avvocato. Per tutto questo ho deciso di essere un avvocato che, ogni giorno, come un operaio del diritto impugna la cazzuola e tenta di edificare un futuro migliore per i propri assistiti.