(ANSA) – ROMA, 15 MAG – La Consulta ha fatto una scelta che riconduce la questione a sistema: una scelta che tutela i nostri assistiti e che non mette paletti, ma delinea un quadro coerente, agganciando a criteri certi i diritti delle coppie. Due gi profili amio avviso rilevanti di questa felice soluzione: 1) Coerenza del sistema; 2) Chiarezza sui soggetti aventi diritto all’accesso.
L’art 6 lett b) della legge 194/78 sull’aborto, a cui il dispositivo fa riferimento – spiega Baldini – non elenca le patologie genetiche o cromosomiche che danno diritto all’aborto terapeutico, ma rinvia alla valutazione del medico. Principio che resta fermo per le coppie con gravi patologie geneticamente trasmissibili. Attendiamo di leggere le motivazioni della sentenza, ma nel dispositivo non si colgono paletti, ma piuttosto la definizione di una quadro coerente, da cui emerge un punto: non c’è differenza tra l’embrione malato che non deve essere trasferito e il feto malato che può essereabortito“.
“Il problema che si poneva alla Corte – osserva Baldini – era decidere per quali patologie le coppie fertili potessero avere accesso alla fecondazione. Il sistema francese prevede, per esempio, che vengano stabilite da un elenco periodicamente aggiornato dal ministero della salute. Altri sistemi più liberali prevedono l’accesso quale che sia la patologia. Ma anche la miopia può essere una malattia genetica. La Consulta, invece, ha agganciato questo diritto a parametri certi: l’art. 6 comma 1 punto b della legge 194 che a sua volta ricollega il diritto all’aborto ai processi patologici, comprese le malformazioni del feto, che possano determinare rischi per la salute fisica e psichica della donna. Quindi, come si ha diritto all’aborto terapeutico oltre il 3° mese di gravidanza, dopo aver fatto l’amniocentesi, così per la fecondazione si può fare subito la diagnosi pre-impianto e sussistendo i requisiti si può decidere di non procedere all’impianto dell’embrione”.
“Inoltre – conclude Baldini – la certificazione sulla malattia genetica della coppia la deve dare il centro pubblico.Altra cosa è la fecondazione, che può essere fatta, ovviamente, anche nel privato. Ora bisogna leggere attentamente le motivazioni, ma il fatto che la certificazione spetti al pubblico, potrebbe anche comportare che la PGD rientri nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, con la possibilità di un rimborso per il paziente”. Sarà interessante capire se il diritto alla diagnosi della patologia è solo per la coppia oppure deve essere esteso anche all’embrione. in questo secondo caso significherebbe completare la filiera : dopo la PMA omologa ed eterologa nei LEA potrebbe ipotizzarsi che anche la diagnosi pre impianto sull’embrione (attualmente effettuata a caro prezzo solo in alcuni centri privati) , analogamente alle altre metodiche diagnostiche prenatali sul feto (come amniocentesi e villocentesi) dovrebbe essere garantita dal sistema pubblico. (ANSA).
Prof. Avv.Gianni Baldini
Collegio Legale Ricorrenti