L’aspetto che vorrei oggi sottoporre alla vostra attenzione è quello del diverso approccio del mediatore familiare e dell’avvocato rispetto ad un evento separativo in ambito familiare, pur avendo a che fare con gli stessi interlocutori. Evento separativo che incide in maniera preponderante nella vita dei soggetti che, loro malgrado, si trovano a dover affrontare tale percorso. Loro malgrado, perché ritengo sia in ogni caso un evento traumatico, non fosse altro per dover riconoscere la necessità di mettere fine ad un progetto di vita rivelatosi fallimentare, anche se questo presupposto è ritenuto da una delle parti un valido motivo per interrompere la relazione coniugale oramai al capolinea. Ma se tutto ciò in alcuni casi può essere compreso e condiviso, in altri l’altro coniuge potrebbe non condividere tale decisione, vivendo l’evento separativo con sentimenti di dolore e di rabbia, che, se in presenza di figli, vengono riverberati su di loro; per non parlare del disagio dei minori coinvolti in una situazione di separazione dei propri genitori, disagio oramai scientificamente provato specie quando la separazione risulta essere conflittuale.
E’ inutile nascondere che, ancora oggi, nella maggior parte dei casi, quando una coppia decide di separarsi, la prima figura professionale alla quale si rivolge è quella dell’avvocato, in una convinzione culturale che solo quest’ultimo sia legittimato a tutelare i diritti dei membri di una famiglia in fase di disgregazione.
Molto spesso la parte, che subisce la volontà dell’altro nella dissoluzione del vincolo matrimoniale, è carica di risentimenti, senso di inadeguatezza e di frustrazione; stati emotivi che, nel suo immaginario, solo attraverso una difesa aggressiva messa in atto dal proprio avvocato, potrebbe riuscire apparentemente a compensare tale stato emotivo. Ecco allora che, nel tentativo di coalizzare l’avvocato, la parte cerca di agganciarlo emotivamente.
Molto spesso queste dinamiche determinano un coinvolgimento emozionale sugli avvocati che si esprime, anche inconsapevolmente, attraverso una presa di posizione di questi ultimi, tale da far affrontare la controversia come se fosse una questione personale, anche nei confronti del collega di controparte, quando sappiamo benissimo che il ruolo del difensore deve essere quello di pura assistenza legale svincolato da personalismi e rispettoso dei canoni deontologici di lealtà, probità e di buon rapporto di colleganza. Queste situazioni portano a perdere di vista quali sono i veri bisogni dei minori coinvolti nella separazione dei propri genitori, soggetti a dover subire le conseguenze della crisi coniugale, rispetto alla quale molte volte non essendo adeguatamente informati, si sentono anche colpevoli di quanto accade.
E’ naturale che chi si trova a dover affrontare la fase della separazione personale tra coniugi vive momenti di confusione, di timore, di paura rispetto a quello che potrebbe succedere, anche perché non conosce bene la realtà delle aule giudiziarie. Non tutti vivono giornalmente, come il magistrato e l’avvocato, la realtà di tali contesti; non tutti sono abituati ad affrontare e discutere i propri problemi dinanzi ad un giudice e magari anche alla presenza di decine e decine di persone che ascoltano; non tutti vorrebbero parlare dei propri sentimenti, delle proprie emozioni e delle proprie paure con persone che non conoscono. Infatti, tutte queste circostanze determinano un senso di inadeguatezza e di vulnerabilità che portano, nella maggior parte dei casi, alla deresponsabilizzazione ed alla delega a terzi nella trattazione e nella tutela dei propri diritti.
Molto spesso da avvocato mi sono chiesto se, all’esito del giudizio di separazione, la parte da me assistita fosse soddisfatta del risultato raggiunto o avesse bisogno di qualcos’altro. Mi ponevo questa domanda perché, dopo aver ottenuto in sede giudiziale il riconoscimento di un diritto tanto preteso, spesso notavo che tale successo non veniva accolto dal cliente con lo stesso entusiasmo ed enfasi dimostrati nella fase procedimentale e quindi prima della decisione del giudice. Mi capitava molto spesso di notare che alla mia soddisfazione professionale non corrispondeva quella dal cliente.
Nel cercare di capire il perché di questi aspetti, confrontandomi ripetutamente anche con gli stessi clienti, ho compreso che spesso quello che rimaneva al coniuge separato ad esito del giudizio, era un misero senso di solitudine e di vuoto rispetto a tutto ciò che aveva investito nel proprio progetto familiare, coniugale e matrimoniale e che, ad un certo punto, a causa della voglia di rivincita nei confronti di chi aveva deciso di infrangere tale patto, per il solo gusto di “fargliela pagare” perché non ne comprendeva le motivazioni che avevano portato alla disgregazione familiare, si rendeva conto di non avere più la famiglia che tanto aveva desiderato e nella quale aveva investito per il suo futuro, anche se oggettivamente quella famiglia non poteva più rimanere unita. Il mantenerla unita a tutti i costi avrebbe sicuramente causato una degenerazione morale, avrebbe causato gravi disagi nei figli minori nel continuare ad assistere alle frequenti liti tra i genitori, il conflitto avrebbe fatto perdere il valore del rispetto reciproco, avrebbe potuto creare un focolaio di violenze.
Effettivamente il diritto da solo non è sufficiente a dirimere controversie in ambito familiare, che invece necessitano di un approccio multidisciplinare per comprenderne le varie difficoltà legate alle dinamiche relazionali familiari.
Condividere i principi della mediazione in generale e di quella familiare in particolare apre orizzonti diversi anche rispetto a come affrontare e risolvere una disputa, modificando anche il modo di approccio col cliente.
Quando l’avvocato che accoglie il cliente che manifesta la decisione di separarsi è anche un mediatore familiare, dopo aver ascoltato le relative istanze e appurato che non si versi in casi di tossicodipendenza, maltrattamenti e/o violenza familiare, abuso su minori, palese incapacità cognitiva, o in caso di soggetti con patologie invalidanti, tali da trovarsi, il mediatore, in situazioni di non mediabilità, dovrebbe condividere con lo stesso un colloquio informativo sulla mediazione familiare al fine di farne condividere i principi, i benefici, gli obiettivi, le modalità del processo di mediazione familiare, inclusa la differenza sostanziale del percorso di mediazione familiare rispetto a quello giudiziario, il tutto in maniera non suggestiva ma solo ed esclusivamente conoscitiva, eventualmente condividendo col cliente le modalità di coinvolgimento dell’altro coniuge, sempre ed unicamente a solo scopo informativo.
Principi questi esaustivamente delineati dalla Raccomandazione 98 del 19/01/98 del Consiglio d’Europa nonché dalla Raccomandazione 1639 del 25.11.03 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, le quali definiscono e ribadiscono l’autonomia e la complementarietà della mediazione rispetto al contesto giudiziario, la natura compositiva e non valutativa della funzione del mediatore familiare, l’assoluta confidenzialità e riservatezza rispetto a quanto emerso nel percorso di mediazione oltre alla volontarietà nell’accesso a tale percorso, presupposto precipuamente funzionale al buon esito dello stesso.
Quando il cliente ha chiara la grande opportunità che la mediazione familiare offre nel poter negoziare personalmente, con l’aiuto dell’esperto, tutte le questioni che riguardano la propria vita e quella dei propri figli – cosa che molto probabilmente prima del colloquio non conosceva chiaramente -, potrà scegliere con più serenità il percorso da seguire ritenuto più idoneo alla propria situazione, anche in virtù del fatto che in qualsiasi momento il cliente può decidere di terminare il percorso di mediazione, iniziando o facendo rivivere quello giudiziario.
Se anche l’altro coniuge, dopo essere stato adeguatamente informato, accetta di esperire un percorso di mediazione familiare con l’avvocato mediatore che lo ha opportunamente portato a conoscenza della possibilità di potersi separare in maniera meno conflittuale, in un’ottica di salvaguardia degli interessi di tutti i membri della famiglia, in particolar modo quelli dei minori, nel rispetto dei propri bisogni come di quelli altrui, con particolare attenzione alle tutela delle relazioni tra genitori e figli che, evidentemente non termineranno mai e tra genitori stessi, l’avvocato mediatore assume le vesti del mediatore familiare a tutto tondo.
- Ora il mediatore familiare, che è anche avvocato, una volta ricevuto l’incarico e porta avanti un percorso di mediazione, è soggetto al proprio codice deontologico nell’esercizio della sua professione; pertanto è soggetto al segreto professionale rispetto ai contenuti della negoziazione, nel senso che non può far uscire dalla stanza di mediazione notizie o fatti rispetto ai quali è venuto a conoscenza nello svolgimento del proprio incarico, salvo consenso scritto ricevuto da entrambi le parti;
- non essendo la mediazione familiare una consulenza legale il mediatore, che è anche avvocato, dovrà astenersi dal fornire informazioni di tipo legale richieste anche da una sola delle parti; dovrebbe informare loro della possibilità di far partecipare un avvocato, o ancora meglio, i rispettivi avvocati, in una prossima seduta di mediazione, in modo da poter fornire le informazioni richieste al fine di superare la perplessità incontrata nella trattativa in assenza di tali ragguagli, oppure sollecitare le parti a consultarsi con il proprio avvocato di fiducia;
- ha il dovere di informare le parti che, in osservanza del proprio codice deontologico, non può essere citato come testimone in un eventuale giudizio e che qualora ciò avvenisse può opporre il segreto professionale relativamente al contenuto degli incontri, fatti salvi i casi previste dalla legge;
- deve astenersi dal seguire un percorso di mediazione in caso di conflitto di interesse anche solo potenziale a salvaguardia delle parti e nel rispetto del principio di imparzialità e neutralità (es. sia intervenuto a favore di una delle parti e/o sia venuto a conoscenza di determinati fatti che coinvolgano anche una sola delle parti);
- il mediatore familiare che è anche avvocato, all’esito del percorso, non può rappresentare nessuna delle parti in giudizio; se il percorso ha avuto esito positivo, al contrario, deve invitare gli ex coniugi a rivolgersi ad un legale di fiducia affinché questi effettui un controllo di legittimità sugli accordi da loro sottoscritti prima di sottoporli all’attenzione del giudice per la loro omologazione.
L’attività della mediazione non nasce solo dall’iniziativa presa da alcuni professionisti, ma nasce dall’esigenza di dover dare delle risposte a sollecitazioni fortissime da parte dell’Europa.
In Italia, nonostante la latitanza del legislatore nel legiferare in materia, già dalla fine degli anni ’80 professionisti che si occupano di relazioni di aiuto e che ruotano attorno alla famiglia in crisi e che hanno a cuore il benessere dei minori, hanno abbracciato e portato avanti, accogliendo le sollecitazioni da parte dell’Europa, nel rispetto dei principi e degli standard formativi e di aggiornamento professionale prescritti dall’organismo europeo più autorevole che si occupa di formazione e di ricerca in Mediazione Familiare quale il Forum Europeo per le Mediazioni Familiari e le Mediazioni, una mission di sensibilizzazione di pace e di educazione alla gestione dei conflitti familiari, nei confronti di una importante fetta di società che ha affrontato e affronta la delicata e difficile fase della separazione coniugale. Professionisti che, in un’ottica di diffusione della cultura della mediazione familiare, allo scopo di confrontarsi, formarsi e di crescere professionalmente, si sono associati dando vita alle realtà associative di cui oggi parliamo e che al fine di offrire un servizio di qualità, garantire l’etica, l’onestà, i requisiti professionali richiesti ai soci, allo scopo di promuovere la fiducia del pubblico nel processo di mediazione familiare e farne conoscere le modalità operative, si sono dotate di un proprio codice deontologico predittivo di standard di condotta professionale ai quali tutti gli associati devono uniformarsi.
Parliamo di un numero elevato di mediatori familiari professionisti, che potrebbero soddisfare, per la loro capillare distribuzione, le esigenze di tutto il territorio nazionale. Professionisti che fanno mediazione familiare, che sicuramente raccolgono i propri successi professionali e che oggi li ringraziamo per aver voluto condividere questa giornata formativa.
Purtroppo negli anni c’è stato anche un business rispetto alla formazione selvaggia, dove si è lucrato anche a discapito dell’utenza. Al fine di arginare questi fenomeni, l’INAMEF, con i rappresentanti delle Associazioni storiche di mediatori familiari Professionisti presenti in Italia, ha sollecitato un tavolo tecnico, per condividere la redazione di un disegno di legge finalizzato alla prescrizione dei criteri formativi ed al riconoscimento legislativo della figura professionale del mediatore familiare.
Ora tutto questo siamo riusciti a farlo con le nostre forze. Siamo stati anche capaci ad autodisciplinarci, ad acquisire una formazione seria e qualificata, pur in assenza di una legge specifica nazionale che contemplasse tali percorsi e tale figura.
Ora che si parla di mediazione familiare a questi livelli, ritengo che la soddisfazione di tutti noi è grande nell’essere consapevoli che anche in Italia, quando si parla di mediazione in ambito familiare si fa riferimento a professionisti qualificati, che hanno lavorato bene, che sono riusciti a delineare in maniera chiara il loro profilo oltre che l’ambito di intervento, professionisti che hanno dimostrato di saper rispettare il lavoro di altre figure professionali che ruotano attorno alla famiglia in crisi, in particolare quello dell’avvocato matrimonialista, consapevoli che solo lavorando in sintonia e nel rispetto dei propri ruoli e delle proprie competenze ci può essere sinergia, e che tale sinergia non può che portare beneficio ai professionisti ed all’utenza.
Il nostro auspicio, e per il quale stiamo da tempo lavorando, è che il legislatore italiano comprendesse l’importanza di un riconoscimento legislativo di tale intervento finalizzato ad offrire una formazione professionale puntuale ed un servizio di qualità, non medicalizzato, non identificato con l’attività dei servizi sociali già oberati di lavoro, ma avente una distinta ed autonoma configurazione istituzionale, giuridica e normativa.
Avv. Antonio Bellisario Anzilotti
Formatore – Mediatore familiare
Segretario Nazionale INAMEF