E’ quanto chiarito in una recentissima sentenza della Suprema Corte che ha sancito i coniugi, anche prima di passare per il tribunale, possono regolamentare la spartizione dei beni in comunione.
Orbene, anche se questo accordo non è successivamente omologato, avrà effetti vincolanti per le parti.
Alla stregua di qualsiasi accordo negoziale, tale scrittura privata è un contratto a tutti gli effetti e non vertendo su diritti indisponibili ben noti (affidamento dei minori) dovrà essere rispettato dai coniugi separandi.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 settembre – 3 dicembre 2015, n. 24621
Presidente Russo – Relatore Pellecchia
Svolgimento del processo
1. La presente controversia trae origine da una transazione sottoscritta nel gennaio 2002 da due coniugi, S.A. e G.S., nelle more del giudizio d’appello della separazione.
Era infatti accaduto che nel 1999 lo stesso tribunale di Ancona aveva pronunciato la separazione personale dei coniugi, provvedendo anche per le attribuzioni patrimoniali richieste dalle parti. Impugnata la decisione per il dissenso in ordine a queste ultime, nel corso del giudizio di appello le parti erano addivenute ad un accordo transattivo, mettendo a punto un dettagliato piano di assegnazioni di beni. Il giudizio di appello era stato quindi abbandonato.
Nel 2005, la S. convenne in giudizio l’ex marito per far dichiarare la risoluzione dell’accordo transattivo concluso tra le parti per inadempimento e colpa esclusiva del G. .
Si difese il convenuto chiedendo il rigetto della pretesa avversaria ed in via riconvenzionale che fosse pronunciata la proprietà esclusiva su beni indicati in comparsa e il risarcimento di tutti danni conseguenti alla trascrizione della citazione pregiudizievole ed impeditiva di ogni possibile esercizio dei suoi diritti, oltre il danno esistenziale. In via riconvenzionale subordinata chiese la condanna dell’attrice alla restituzione di tutte le somme erogate dallo stesso in esecuzione della scrittura privata ed il riconoscimento della proprietà della metà dell’immobile sito in (omissis).
Il Tribunale di Ancona, con la sentenza n. 1117 del 9 giugno 2006 accolse la domanda dell’attrice, dichiarò la risoluzione del contratto transattivo fra le parti per esclusivo inadempimento, di notevole importanza, in capo al convenuto e lo condannò alle spese.
2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 558 del 25 settembre 2012. La Corte territoriale ha dichiarato inammissibile la domanda di risoluzione dell’accordo transattivo proposta da G.A.L. e D. , eredi della S. nelle more deceduta.
Ha osservato la corte che l’accordo tra le parti in materia di regolamentazione delle condizioni di separazione dei coniugi rimane senza effetto se non trasfuso in un atto sottoposto al giudice per l’omologazione. Non avendo le parti nella specie portato la transazione al vaglio della corte d’appello adita, si è determinato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, a seguito dell’estinzione del giudizio di appello per inattività delle parti, e la preclusione della domanda di risoluzione.
3. Avverso tale decisione, G.S. propone ricorso in Cassazione sulla base di cinque motivi.
3.1 Resiste con controricorso G.A.L. , illustrato da memoria.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 1322, 158 e 160 c.c. ed agli artt. 710 e 711 c.p.c.”.
4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione agli artt. 1362, 1363, 1367 c.c. nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 1322, 158 e 160 c.c. ed agli artt. 710 e 711 c.p.c. e/o in subordine, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”.
Lamenta il G. con i due motivi che la sentenza dei giudici del merito è errata laddove ha applicato principi di questa Corte riferibili a pattuizioni tra coniugi precedenti o contemporanei alle separazioni consensuali ed ha, conseguentemente, ritenuto non validi gli accordi sottoscritti dai coniugi con la scrittura del 2002 perché non riversati nelle conclusioni del giudizio d’Appello.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “nullità della sentenza della Corte d’Appello di Ancona o del procedimento per extrapetizione o ultrapetizione ex art. 112 c.p.c. (art. 160 n. 4 c.p.c), nonché violazione dell’art. 100 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) per erronea interpretazione delle domande ed eccezioni che conduce il giudice ad andare oltre i limiti delle stesse, come nella sostanza e volontà proposte e contro l’interesse del rispettivo deducente e violazione art. 1421 c.c.”.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha errato perché non ha mai chiesto che la scrittura fosse dichiarata nulla o invalida ma l’esatto contrario, come si evince anche dalla domanda riconvenzionale principale autonoma fondata proprio sulla validità della scrittura privata. Denuncia altresì che la Corte d’Appello, in conseguenza dell’accoglimento del motivo di inammissibilità ha ritenuto assorbite le altre censure.
4.4. Con il quarto motivo, denuncia la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione agli artt. 1242 c.c. e 112 c.p.c..
4.5. Con il quinto motivo, denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1242 c.c. e 112 c.p.c., 115 c.p.c., 94 d.a.c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.)”:
Con gli ultimi due motivi si lamenta che la Corte d’Appello abbia in relazione alla richiesta di restituzioni di certi importi effettuato delle compensazioni in assenza di domanda o di eccezione. Per quanto riguarda poi la restituzione dei canoni dell’immobile locato a farmacia ha ritenuto che “nulla è dato conoscere dell’immobile o del relativo canone”. Ciò nonostante li stessi fossero stati identificati, dal ricorrente, con l’atto di appello.
5. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
Com’è noto, nell’accordo tra le parti, in sede di separazione e di divorzio, si ravvisa un contenuto necessario (attinente all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorziale per il coniuge economicamente più debole) ed uno eventuale (la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi). Tradizionalmente gli accordi “negoziali” in materia familiare, erano ritenuti del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale, affermandosi che si perseguiva un interesse della famiglia trascendente quello delle parti, e l’elemento patrimoniale, ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale. Oggi, escludendosi in genere che l’interesse della famiglia sia superiore e trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti, si ammette sempre più frequentemente un’ampia autonomia negoziale, e la logica contrattuale, seppur con qualche cautela, là dove essa non contrasti con l’esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli, si afferma con maggior convinzione.
Questa Corte da tempo ritiene che la clausola di trasferimento di immobile tra i coniugi, contenuta nei verbali di separazione o recepita dalla sentenza di divorzio congiunto o magari, come nella specie, sulla base di conclusioni uniformi, è valida tra le parti e nei confronti dei terzi, essendo soddisfatta l’esigenza della forma scritta (tra le prime pronunce al riguardo, Cass. 11 novembre 1992, n.12110 e, ancora recentemente, Cass. n. 2263 del 2014), cosi come il trasferimento o la promessa di trasferimento di immobili, mobili o somme di denaro, quale adempimento dell’obbligazione di mantenimento (o assistenziale) da parte di un coniuge nei confronti dell’altro (tra le altre, Cass. 17 giugno 1992 n. 7470). Va altresì precisato che gli accordi omologati non esauriscono necessariamente ogni rapporto tra i coniugi. Si potrebbero ipotizzare (e nella prassi ciò accade frequentemente) accordi anteriori, contemporanei o magari successivi alla separazione o al divorzio, nella forma della scrittura privata o dell’atto pubblico. Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte è variamente intervenuta, con particolare riferimento agli accordi extragiudiziali, in occasione della separazione, attraverso una complessa evoluzione verso una più ampia autonomia negoziale dei coniugi. Dapprima si affermava che tutti i patti intercorsi tra i coniugi, in vista della separazione, anteriori, coevi o successivi, indipendentemente dal loro contenuto, dovevano essere sottoposti al controllo del giudice che, con il suo decreto di omologa, conferiva ad essi valore ed efficacia giuridica. Successivamente si cominciò ad effettuare distinzione sul contenuto necessario ed eventuale delle separazioni consensuali, sui rapporti tra i genitori e figli, riservati al controllo del giudice, e tra coniugi, che, almeno tendenzialmente, rimanevano nell’ambito della loro discrezionale ed autonoma determinazione, in base alla valutazione delle rispettive convenienze, fino a sostenere successivamente l’autonomia negoziale dei genitori, anche nel rapporto con i figli, purché si pervenga ad un miglioramento degli assetti concordati davanti al giudice (tra le altre, Cass. n. 657/1994; Cass. n. 23801/2006).
Al contrario, la giurisprudenza di questa Corte è rimasta, per lungo tempo, tradizionalmente orientata a ritenere gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, in vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio (tra le altre Cass. n. 6857/1992). Giurisprudenza più recente ha sostenuto che tali accordi non sarebbero di per sé contrari all’ordine pubblico.
Come si è detto, l’accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio (e magari quale oggetto di precisazioni comuni in un procedimento originariamente contenzioso) ha natura sicuramente negoziale, e talora da vita ad un vero e proprio contratto (Cass. n. 18066/2014; Cass. n. 19304/2013; Cass. n. 23713/2012). Ma, anche se esso non si configurasse come contratto, all’accordo stesso sarebbero sicuramente applicabili alcuni principi generali dell’ordinamento come quelli attinenti alla nullità dell’atto o alla capacità delle parti, ma pure alcuni più specifici (ad es. relativi ai vizi di volontà).
La corte territoriale, facendo proprio un principio applicabile però alla ipotesi di separazione consensuale (Cass. 9 aprile 2008 n. 9174), ha dunque errato nel ritenere che le parti non potessero validamente regolamentare interessi di carattere patrimoniale ai margini del giudizio di separazione, pendente appunto in grado di appello e proprio in relazione alla composizione del relativo contrasto; e che quindi fosse privo di effetti l’accordo transattivo raggiunto nel corso del giudizio stesso, abbandonato a seguito di questo.
6. Il ricorso va quindi accolto in relazione ai primi due motivi, restando assorbiti gli altri, compreso il terzo, a prescindere dalle peraltro significative censure di extrapetizione in relazione ad una invalidità mai rilevata dalle parti.
La corte d’appello avrebbe dovuto, provvedendovi ora in sede di rinvio, esaminare nel merito le doglianze proposte dal G. contro la sentenza di primo grado con riferimento all’accordo transattivo utilmente raggiunto tra le parti in corso di causa e idoneo a produrre autonomi effetti obbligatoli.
6.1. Il giudice di rinvio provvederà inoltre in ordine alle spese dell’intero giudizio, comprese quelle di cassazione.
P.Q.M.
la Corte accoglie i primi due motivi del ricorso per quanto di ragione, ritiene assorbiti gli altri, rinvia, anche per le spese alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.
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