Assegno di divorzio: fiato sospeso per trenta giorni per sapere se la Cassazione – per decisione del massimo consesso delle Sezioni Unite – riporterà in auge il parametro del tenore di vitagoduto durante il matrimonio quale pietra miliare sulla quale calcolare l’entità dell’assegno divorzile per l’ex coniuge economicamente più debole. A chiedere di far uscire dalla soffitta questo punto di riferimento, “in vigore” dal 1990 e archiviato lo scorso maggio dalla famosa sentenza di divorzio dell’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli, è stato il sostituto procuratore della Cassazione Marcello Matera, Avvocato generale della Suprema Corte.
«La premessa è che ogni singolo giudizio richiede necessariamente la valutazione delle peculiarità del caso concreto perché l’adozione di un unico principio di diritto, come quello stabilito dalla sentenza “Grilli”, corre il rischio di favorire una sorta di giustizia di classe», ha sottolineato Matera nella sua requisitoria. «Si può anche convenire sul fatto che il criterio dell’autosufficienza – ha proseguito Matera – può essere preso come parametro di riferimento, ma non si può escludere di rapportarsi anche agli altri criteri stabiliti dalla legge quali la durata del matrimonio, l’apporto del coniuge al patrimonio familiare, il tenore di vita durante il matrimonio per valutare il diritto all’assegno di divorzio».
I magistrati relatori dei provvedimenti hanno un mese di tempo per depositare le motivazioni e nel civile – differentemente dal penale – l’esito si conosce solo quando la sentenza, che in questo caso sarà scritta dalla consigliera Maria Acierno, riceve il via libera dalla cancelleria. Proprio la Procura del “palazzaccio” aveva mal sopportato che la defenestrazione del tenore di vita fosse avvenuta per mano di una sola sezione “semplice”, la Prima sezione civile, esperta di diritto di famiglia, senza una discussione davanti alle Sezioni Unite e con l’intervento del Pg su una questione che riguarda tantissime persone.
È stato uno degli ultimi decreti dell’ex Primo presidente della Cassazione, il carismatico Giovanni Canzio, a placare gli animi della Procura generale e a convocare le Sezioni Unite sulla querelle “assegno sì, assegno no”, anche se la cosa non ha fatto piacere ai magistrati della Prima sezione. Sotto i riflettori questa volta, dopo il caso dell’ex ministro Grilli e del suo burrascoso divorzio da Lisa Lowenstein che ha fatto da apripista anche a Silvio Berlusconi nell’ultimo ma non definitivo round in Cassazione contro Veronica Lario, è stata la lite per l’assegno tra una coppia di imprenditori. Il loro matrimonio, celebrato nel 1978 e durato fino al 2007, dopo 27 anni non ha retto e Lucrezia e Omar hanno deciso consensualmente di separarsi.
È una coppia di successo che partendo da modeste origini ne ha fatta di strada: hanno messo su una grossa azienda nel settore degli imballaggi per gli alimenti e lei ha un avviato centro di formazione al lavoro che organizza corsi per detenuti e lavoratori licenziati. Al momento di dirsi addio si dividono il consistente patrimonio familiare e fanno metà per ciascuno. Ma Lucrezia vuole anche un assegno e in primo grado il Tribunale di Reggio Emilia le attribuisce quattromila euro al mese.
La Corte di Appello di Bologna, poco dopo il clamore del verdetto “Grilli”, accoglie il ricorso di Omar e annulla l’assegno valutando che Lucrezia, tra quello che le è stato liquidato e la sua attività, ha di che vivere in piena autosufficienza. Lucrezia, una signora con impeccabile messa in piega, pantaloni neri e scarpe basse a motivi animalier, non si è arresa e questa mattina è venuta in Cassazione e con «soddisfazione» ha ascoltato il Pg. Se le Sezioni Unite tireranno fuori il tenore di vita dalla naftalina che lo ha sepolto, anche questo divorzio torna in alto mare insieme ai tanti divorzi senza assegno fioccati in questi mesi, e la Corte di Bologna dovrà rivedere i suoi passi.
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