E così l’AMI si appresta ad affrontare il decimo Congresso nazionale, guadagnandosi per due giorni la ribalta nazionale.
Abbiamo alle spalle tanti Congressi memorabili in cui la nostra grande Associazione ha sempre dato prova di stare sul pezzo e trattare i temi più importanti del momento.
Il 23 e 24 novembre 2018, presso l’Hotel Cicerone di Roma, a due passi dalla Cassazione, parleremo di un tema centrale: l’affidamento condiviso, partendo dall’analisi del D.D.l. 735 del senatore e collega Simone Pillon.
Il D.D.L. Pillon (n. 735) ha diviso le coscienze degli italiani e le posizioni degli addetti ai lavori.
Sono in atto aspri dibattiti sia sui mass media che nelle sedi istituzionali. Sarà il tema del nostro Congresso.
L’AMI non ha ancora assunto una posizione ufficiale sul testo di tale disegno di legge. Pertanto tutte le dichiarazioni sul tema rese dai nostri associati, comprese le mie, sono state a titolo squisitamente personale. Nel prossimo numero di questo giornale, e comunque sul sito nazionale dell’AMI, potrete leggere il nostro punto di vista ufficiale sulla scorta dei lavori congressuali e degli indirizzi del Consiglio direttivo nazionale che si riunirà a Roma il 25 novembre 2018.
Continuando a esprimere valutazioni personali, posso affermare, per quel che mi riguarda, che tale disegno di legge non mi convince affatto.
L’unico aspetto positivo del D.D.L. n. 735 è che Pillon abbia senz’altro gettato un sasso nello stagno, sollevando in modo imponente il fallimento della L. 54/06 (Paniz) in ordine alla concreta attuazione dell’ambizioso progetto di introdurre anche in Italia un affidamento condiviso, degno di tale nome, che sancisse il valore della bigenitorialità in ossequio a quanto sancito dalle Convenzioni internazionali di New York sui diritti del fanciullo (20 novembre 1989, ratificata con l. n.176/1991) e di Strasburgo del 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 77/2003.
Se non ammettiamo che, in fondo, l’affidamento condiviso nel nostro Paese sia stato soltanto una mera enunciazione di principio, non saremmo onesti intellettualmente e faremmo un regalo a Pillon, il quale, insieme ai suoi agguerriti seguaci, potrà accusarci di voler mantenere, per vari interessi o per mala fede o ignoranza, l’attuale stato di cose.
Vorrei ricordare che molti dei soci dell’AMI hanno combattuto dalla fine degli anni 90 fino al 2006 per introdurre l’affidamento condiviso in Italia. Pertanto, non siamo disposti ad accettare lezioni di bigenitorialità da nessuno. Sia chiaro a chi ha scritto sui social e su qualche giornale notizie false e provocatorie nei nostri confronti.
Dobbiamo ammettere che i tempi concessi, dal 2006 ad oggi, ai genitori non collocatari (quasi sempre i padri) di stare con i figli siano stati quasi identici a quando era in vigore, come regola generale, l’affidamento monogenitoriale. Ecco perché la Legge 54/2006 è stata platealmente tradita da pervicaci orientamenti giurisprudenziali che l’hanno applicata solo in modo burocratico e restrittivo. Purtroppo i cambiamenti culturali del nostro Paese sono lentissimi e devono superare mille insidie e sentieri tortuosi.
C’è una responsabilità storica dell’avvocatura, della magistratura e delle altre categorie professionali che, a vario titolo, sono impegnate nelle procedure familiari, per aver fatto finta di non vedere l’ anomalia di un affidamento condiviso che non c’è, o addirittura per averla dolosamente avallata in base ad una visione antiquata e stereotipata della famiglia italiana.
Da tempo l’AMI sostiene che non devono più esistere genitori di serie b o tempi risicati per il genitore non collocatario dei figli. Da tempo l’AMI sostiene che le leggi sovranazionali non devono restare lettera morta e che l’Italia deve vergognarsi per le tante condanne da parte della CEDU per la ingiustificata mancata applicazione dell’affidamento condiviso.
Pillon è stato invece capace di intercettare le istanze di milioni di padri separati e ne ha fatto una formidabile battaglia politica, sapendo di poter contare su un imponente serbatoio di voti.
Non bisognava arrivare a questo, o meglio non dovevamo regalare al politico di turno simili temi di propaganda permanente. E si sa che, quando la politica cavalca la tigre del malcontento, diventa difficile individuare i giusti equilibri e i rimedi più opportuni. Tutto si fonda sulla emotività distruttiva.
Dunque il D.D.L. 735 è il classico rimedio peggiore del male! Una grande occasione persa per il cambiamento del sistema, per come è stata concepita.
Innanzitutto il testo contempla la mediazione familiare obbligatoria quale condizione di procedibilità. Si tratta del frutto del principale errore di tale disegno di legge che confonde la mediazione familiare che, per definizione, non può essere obbligatoria, con la mediazione civile. E poi non si sa quanto costerà, quanto durerà e quale saranno le caratteristiche tecniche del mediatore familiare.
Ci si domanda come mai non sia stata prevista la gratuità della mediazione familiare attraverso un fondo oppure secondo i criteri del gratuito patrocinio per le spese legali.
In Italia, se questo DDL diventasse legge, ci sarebbe il paradosso di un mafioso che può essere difeso a nostre spese anche per crimini orrendi e un genitore che deve pagare un percorso di mediazione familiare per potersi separare, anche se non ha i mezzi economici per pagarla. Ma di cosa parliamo?
La mediazione familiare, peraltro, in molti casi, come l’esperienza ci insegna, non può essere avviata quando ci sono violenze intrafamiliari o comunque situazioni di difficile gestione.
Altrettanto assurdo è prevederla in sede di divorzio, in via obbligatoria, quando oramai i giochi sono fatti.
Altra figura che potrebbe appesantire, in tutti i sensi, le separazioni e i divorzi sarà il cosiddetto coordinatore genitoriale di cui non si conosce appieno la funzione e il momento giusto del suo intervento.
Siamo qui per imparare.
Tuttavia si avverte l’esigenza di qualificare e snellire il diritto di famiglia e non appesantirlo con l’intervento delle più svariate figure professionali.
La mediazione familiare, non me ne vogliano gli amici mediatori familiari, deve restare una scelta, una grande risorsa, un percorso consapevole, e non un obbligo a pagamento.
Il D.D.L. parla di parità dei tempi di permanenza dei figli presso i genitori, di mantenimento diretto dei figli, del diritto di proprietà della casa coniugale che deve prevalere in linea di principio con altri diritti. Si tratta di creare nuovi prestampati al posto di quelli attuali, analogamente allarmanti.
Non sempre è possibile dividere i figli a metà. Sarebbe bellissimo in linea di principio, ma non sempre entrambi i genitori vogliono o possono essere presenti in modo così importante nella vita dei figli anche dopo la separazione o il divorzio. In molte regioni del Sud le donne sono disoccupate e raramente sono proprietarie di beni immobili.
Appare risibile pensare ad una contribuzione diretta di massa con capitoli di spesa. È chiaro che, laddove fosse possibile, in linea di principio, sarebbe .fantastico vedere genitori che, anche dopo la separazione, riescono a condividere tempi e necessità per i figli in una situazione di perfetta parità. Ma la realtà delle famiglie disgregate è caratterizzata da milioni di variabili che non consentono la confezione di parametri follemente rigidi.
È vero anche che Pillon, in ogni caso, offre al giudice varie via di uscita in modo consentirgli di decidere senza la rigidità di principi inamovibili. Ciò ci ricorda l’antico detto: “fatta la legge, trovato l’inganno”.
Ma credo che il DDL voglia chiaramente sottrarre alla giurisdizione (o almeno ridurre) la possibilità di decidere caso per caso, con provvedimenti su misura rispetto alle dinamiche della singola vicenda familiare.
L’errore di Pillon è stato quello di voler cambiare il diritto di famiglia partendo dal tetto e non dalle sue fondamenta. E’ un classico della nostra politica.
In Italia c’è bisogno di una legge quadro che cambi radicalmente il sistema per riconoscere al diritto di famiglia il proprio ruolo centrale (e non residuale) nel pianeta giustizia. Il diritto di famiglia per gli interessi che tratta, deve avere la precedenza assoluta su qualsiasi altra branca del diritto. Il legislatore non lo vuol capire investendo poco o niente sulle grandi riforme che tutti aspettiamo. E’ tutto fermo da anni perché molti poteri forti hanno tutto l’interesse a non cambiare le cose.
Le Sezioni specializzate sono l’unico rimedio per spazzare via la pericolosa frammentazione delle competenze giurisdizionali. Ma anche qui, per questa riforma ferma da anni, ci sono stati inspiegabili e potenti ostacoli per non creare un unico giudice per tutta la materia familiare e minorile.
Eppure Pillon, che si preoccupa di qualificare i mediatori familiari, nulla dice nel suo disegno di legge in ordine alla riqualificazione dei magistrati della materia familiare. Non vuole farsi nemici all’interno della magistratura?
Inoltre l’obbligo della specializzazione degli addetti ai lavori è un altro obiettivo di civiltà giuridico – giudiziaria non più procrastinabile. Dispiace che parte del mondo forense si sia schierata contro le specializzazioni forensi, per conservare la deriva tuttologica nella quale l’avvocatura sta affogando e, insieme ad essa, la vera tutela dei cittadini in barba all’art. 24 della Costituzione.
Occorre unificare le prassi, riqualificare il processo, cambiare le regole del gioco, investire sull’edilizia giudiziaria, immettere nella pianta organica almeno duemila nuovi magistrati togati, selezionare i consulenti d’ufficio secondo criteri meritocratici, riqualificare i servizi sociali che in alcune zone sono lasciati soli, ma in altre hanno poteri senza controllo e incidono in modo determinate, specie nelle procedure minorili, sui vari provvedimenti giurisdizionali.
Occorre, inoltre, nel quadro della trasparenza del nostro sistema, verificare l’operato delle case famiglia e i relativi interessi in gioco, fermi il rispetto e la gratitudine per il loro operato.
Altro aspetto che non convince di tale disegno di legge è di voler abrogare l’art. 570 bis c.p. e nel contempo non inasprire le sanzioni dell’art. 388, II comma, c.p.
In pratica Pillon non vuole più punire chi non paga l’assegno di mantenimento e non vuole inasprire le pene verso il genitore che mette in atto una vera e propria alienazione genitoriale.
Perché?
Per me si deve puntare, anche e soprattutto, sulla incisività nel diritto penale familiare al fine di prevenire e contrastare determinati reati che aggravano il livello del conflitto dei coniugi e danneggiano i figli in modo irrimediabile.
Dobbiamo punire l’anarchia che invece resta impunita in certe vicende familiari. Ci manca il coraggio delle grandi riforme. Noi italiani siamo i campioni del mondo degli slogan, delle eterne contrapposizioni, delle fazioni di turno. Siamo inconcludenti.
Ciò che mi preoccupa di più, dopo aver partecipato come relatore al Senato per discutere di questo DDL, è l’aver constatato la vergognosa guerra di genere che ne è scaturita. Uomini contro donne, madri contro padri, misogini contro riesumate femministe di retroguardia. Il tutto in un clima da anni settanta del tutto destruente e anacronistico. Non dobbiamo più stabilire se è meglio la mamma o il padre, se è più utile il materno o il paterno in un periodo storico in cui, ci piaccia o no, si parla di genitore uno e genitore due, di bambini con due padri o due madri, di famiglie più che di famiglia. E’ arrivato il momento di capire che ogni accordo o ogni provvedimento deve mettere al centro gli interessi e i diritti dei figli, quale che sia il tipo della loro famiglia, senza schemi rigidi, senza stereotipi, senza “maternal preference” di ufficio.
E’ ora di metterci alle spalle certe assurdità nel nome di un modo diverso di essere famiglia e di una visione moderna di società. Non devono più esistere genitori padroni dei figli, non deve più esistere l’uso strumentale del figlio come arma, come terreno di rivendicazione economica o di vendetta. Bisogna andare oltre. Chi è davvero avvocato matrimonialista/familiarista non può non auspicare un radicale cambiamento del sistema giudiziario, del diritto di famiglia e della cultura sociale.
Il diritto di famiglia non può consentire, in un Paese normale, che su una questione come l’affidamento dei figli si possa involgarire in questo modo il dibattito.
Occorre fare un salto di qualità culturale, abbattere gli steccati e le guerre di genere.
Già, perché l’affidamento condiviso e la bigenitorialità sono concetti che devono entrare nel tessuto sociale attraverso l’innalzamento dell’asticella del livello culturale delle gente.
I bambini non devono essere un bottino di guerra! Purtroppo il DDL 735 non pone al centro dei diritti il minore, e ciò è fin troppo palese anche se si trincera dietro il paravento della bigenitorialità.
Ciò che mi auguro è che i tempi di permanenza presso i genitori possano essere sempre più significativi e una separazione o un divorzio non debbano significare l’uscita di scena o la delegittimazione di una delle due figure genitoriali. Non c’era bisogno di questo DDL per arrivare a questa conclusione. Chi, invece, vuole pervicacemente conservare l’attuale modo di intendere l’affidamento dei figli, senza spazio per confronti e passi in avanti, ignora o fa finta di ignorare cosa stia succedendo nel diritto di famiglia e nella cultura sociale del resto del mondo occidentale. Mentre Pillon, o chi gli subentrerà in futuro, davanti a questo stato di cose, sarà sempre più forte perché aumenterà il numero dei suoi seguaci.
Avv. Gian Ettore Gassani
Presidente AMI NAZIONALE