Con la sentenza n. 6519/2020 (sotto allegata) la Cassazione rigetta il ricorso di un marito obbligato in sede d’appello a versare alla moglie l’assegno mensile di 1600 euro. Come osservato correttamente dal giudice di seconde cure occorre discostarsi dal superato criterio del tenore di vita, come affermato dalla Cassazione n. 11504/2017, senza dimenticare però la funzione perequativa, assistenziale e compensativa dell’assegno di divorzio, il quale non può non considerare l’età del coniuge richiedente, la sua effettiva possibilità di riprendere a lavorare, i sacrifici fatti per la famiglia e il contributo alla formazione del patrimonio famigliare con il lavoro fuori casa e casalingo.
La Cassazione con la sentenza n. 6519/2020 rigetta il ricorso, ritenendo tutte le prime sei doglianze sollevate inammissibili perché finalizzate a ottenere un giudizio sostitutivo rispetto a quello di merito, che si è concluso con una motivazione congrua e adeguata, che si sottrae quindi alle critiche del ricorrente.
Per quanto riguarda il settimo e ottavo motivo del ricorso, in cui il ricorrente lamenta il discostamento dai parametri sanciti dalla sentenza n. 11504/2017, che ha abbandonato il tenore di vita nella determinazione dell’assegno di divorzio, la Cassazione fa presente che la successiva SU n. 18287/2018 è intervenuta per dare una diversa lettura all’assegno di divorzio più coerente con il quadro costituzionale.
Da qui l’adozione del parametro perequativo-compensativo che discende dal principio di solidarietà e che deve tenere conto delle condizioni reddituali e patrimoniali di entrambi e del raggiungimento di un livello di reddito adeguato al contributo fornito alla realizzazione della vita familiare, senza ignorare le aspettative professionali sacrificate, in considerazione dell’età del richiedente e della durata del matrimonio.
Da qui l’affermazione, relativa all’art. 5 della legge n. 898/1970, del principio secondo cui “il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.”
Al richiedente si tenderà a riconoscere, in virtù di detto principio, un importo in grado di garantirgli una vita dignitosa e autonoma, che gli riconosca il sacrificio e quanto fatto durante il matrimonio. Proprio da questa logica si è mossa la decisione della Corte d’Appello. Essa ha abbandonato il criterio del tenore di vita, stante l’intolleranza di rendite parassitarie in presenza della giovane età del richiedente e della sua acclarata capacità lavorativa, per abbracciare un indirizzo che evita di punire il coniuge più debole economicamente, che è stato sposato per lungo tempo, che ha dedicato il proprio tempo alla famiglia, aumentandone le risorse economiche comuni con il lavoro dentro e fuori casa. Una valutazione di questo tipo è sicuramente la più aderente alla realtà del caso concreto.