Sul valore da imputare in sede di divisione della casa familiare in comproprietà fra i coniugi e assegnata ad uno dei due si pronunciano le SS.UU. civili con Sentenza n. 18641/2022
In sede di separazione la casa familiare viene assegnata
alla moglie con la quale continuano ad abitare in via
prevalente i figli minori. L’immobile è di entrambi in
comproprietà.
Il marito, successivamente, chiede si proceda alla
divisione giudiziale della casa famigliare. Sorge il
quesito su quale valore sia da attribuire all’immobile in
sede di valutazione per la vendita o la liquidazione a carico di chi cede la comproprietà all’altro
coniuge. In particolare se l’assegnazione costituisca un peso di cui tenere conto in sede di
valutazione, anche nel caso in cui ad acquistare sia il coniuge assegnatario.
Il caso viene sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite, stante un contrasto giurisprudenziale sul
punto.
La Corte di Cassazione a SS.UU. Civili decide con Sentenza n. 18641 depositata in data 9 giugno
2022 con una estesa sentenza (28 pagine) che approfondisce il tema dell’istituto dell’assegnazione
della casa familiare.
La questione sottoposta all’esame di queste Sezioni unite viene riassunta nei seguenti termini: “se –
in sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati già
destinato a residenza familiare e, per tale ragione, assegnato, in sede di separazione, al coniuge
affidatario della prole – occorra tenere conto della diminuzione del valore commerciale del cespite
conseguente alla presenza sul medesimo del diritto di godimento del coniuge a cui è stata affidata
la prole, pure nel caso in cui la divisione si realizzi mediante attribuzione a quest’ultimo della
proprietà dell’intero immobile con conguaglio in favore del comproprietario e, quindi,
determinandolo non in rapporto al valore venale dello stesso immobile, bensì in misura ridotta
che tenga conto dell’incidenza della permanenza di tale vincolo, opponibile anche ai terzi”.
L’istituto dell’assegnazione della casa familiare
Le SS.UU. tratteggiano in motivazione le caratteristiche salienti dell’istituto.
Confermano che il titolo ad abitare il cespite familiare è strumentale alla conservazione della
comunità domestica nel solo interesse della prole.
Esso non costituisce un né diritto reale né un diritto personale ma crea “un vincolo di
destinazione sui generis, collegato all’interesse superiore dei figli ”. Si tratta di un
diritto personale di godimento del cespite che viene a cadere nel caso in cui l’assegnatario 1)
non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o 2) conviva more uxorio o 3) contragga
nuovo matrimonio.
Le SS.UU. ricordano che “la giurisprudenza di questa Corte ritiene preferibile, nella ricostruzione
giuridica del vincolo di destinazione conseguente all’assegnazione della casa familiare,
l’enucleazione di una posizione riconducibile a quella di una detenzione qualificata giustificata, di
regola, dalle priorità familiari di conservazione delle abitudini domestiche in favore della prole,
ossia a quella di un diritto di godimento personale atipico”.
E’ anche affermato che quel diritto non costituisce un diritto patrimoniale, bensì
esclusivamente un diritto familiare a carattere non patrimoniale.
Quanto alla trascrizione, viene richiamato il provvedimento della Corte costituzionale (sentenza n.
454 del 1989) che ebbe a dichiararne l’illegittimità costituzionale dell’art. 155-quater, comma 4, c.c.
nella parte in cui non si prevedeva la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione
dell’abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini dell’opponibilità ai terzi.
Giurisprudenza successiva ha chiarito che il il provvedimento di assegnazione deve considerarsi
opponibile, anche se non trascritto, al terzo acquirente in data successiva, per nove anni dalla data
dell’assegnazione (senza che assuma alcun rilievo la circostanza che il titolo di acquisto del terzo
contenga l’indicazione specifica dell’esistenza del diritto del coniuge assegnatario), ovvero, previa
trascrizione in data antecedente al titolo, anche oltre i nove anni.
Interessante poi l’accenno a Cass., Sez. I, n. 15367/2015, secondo la quale “la possibile revoca
dell’assegnazione nei casi previsti dall’art. 337-sexies c.c. sopra citato, ovvero per la raggiunta
autonomia dei figli conviventi con l’assegnatario, non è azionabile dal terzo acquirente, il
quale avrà a sua disposizione un’azione di accertamento preordinata alla liberazione del cespite,
cui potrebbe conseguire il pagamento dell’indennità per illegittima occupazione previa
declaratoria di inefficacia del titolo, con decorrenza dalla data di deposito della sentenza di
accertamento”.
L’assegnazione della casa coniugale non costituisce un criterio automatico di attribuzione al coniuge
affidatario della prole minorenne o non autosufficiente, il cui interesse comunque deve essere
valutato per primo, poiché sempre il giudice dovrà valutare se non ricorrano nel caso concreto
situazioni tali da favorire l’altro coniuge.
Ancora, la casa familiare si afferma come cespite suscettibile di valutazione economica idoneo
ad un eventuale riequilibrio delle condizioni reddituali dei coniugi nell’ambito dell’assegno
di mantenimento del coniuge e dei figli e solo in questo ambito.
E’ oramai consolidato il principio secondo il quale “ai fini della determinazione dell’importo
dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge richiedente che ne abbia diritto, deve trovare
spazio anche la valutazione del godimento della casa familiare, la cui assegnazione, pur essendo
finalizzata alla tutela della prole e dell’interesse della stessa a permanere nell’ambiente domestico,
costituisce indubbiamente un’utilità suscettibile di apprezzamento economico, sotto il duplice
profilo del risparmio assicurato al coniuge convivente con i figli, rispetto alla spesa che dovrebbe
(eventualmente) sostenere per procurarsi un alloggio in locazione, e dell’incidenza del relativo uso
sulla disponibilità dell’immobile, con la correlata limitazione della facoltà di godimento e di
disposizione spettanti al proprietario”.
Casa coniugale in comproprietà ed assegnazione
Analogamente, anche nel caso nel quale la casa familiare sia in comproprietà, non può ricavarsi
l’assunto che il coniuge assegnatario la usi in virtù del suo diritto di utilizzo della sua comproprietà.
Afferma, infatti, la Corte che l’esclusività dell’uso del bene da parte del coniuge assegnatario non
trova il proprio titolo nella comproprietà del bene, che pur attribuendogli la facoltà di trarre per
intero dall’immobile le utilità che lo stesso è in grado di offrire, non gli consentirebbe, ai sensi
dell’art. 1102 c.c., di impedire all’altro partecipante di farne parimenti uso secondo il proprio diritto,
ma nel provvedimento di assegnazione, che, comportando la sottrazione del bene al godimento
dell’altro coniuge si traduce in un pregiudizio economico, anch’esso valutabile ai fini della
liquidazione dell’assegno in favore del coniuge assegnatario della casa coniugale.
Ancora: le SS.UU. ribadiscono che l’assegnazione della casa coniugale non può costituire
una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole, ma postula
l’affidamento dei figli minori o non autosufficienti economicamente.
La divisione della casa coniugale in comproprietà
Anche se trattasi di casa coniugale in comproprietà fra i coniugi e in presenza di un provvedimento
di assegnazione della stessa ad uno dei due, i principi della divisione della comproprietà
immobiliare non vengono meno. Se il bene è comodamente divisibile, il giudice è tenuto a) a
formare due porzioni di valore corrispondente alle quote dei condividenti, altrimenti deve
procedere b) con l’attribuzione unitaria (ovvero in favore, in via esclusiva, di uno dei condividenti
che lo richieda) o c) con la vendita agli incanti.
Se sul bene immobile esistono vincoli suscettibili di incidere negativamente sul valore venale il CTU
dovrà tenerne conto in sede di stima. Tuttavia, affermano le SS.UU., “ciò non implica che qualsiasi
tipo di vincolo determini sempre un’incidenza in pejus rispetto al valore di mercato, così come può
essere possibile valutare se tale incidenza venga a verificarsi o meno in relazione al modo ed
all’esito delle operazioni divisionali, evenienza che – per l’appunto – viene in rilievo qualora
l’immobile sia attribuito in proprietà esclusiva al coniuge beneficiario del provvedimento di
assegnazione del bene come casa coniugale”.
La Corte assume che qualora, in sede di divisione, il bene venga attribuito in proprietà esclusiva al
coniuge che già ne godeva come casa coniugale, verrà a prodursi l’effetto della concentrazione in
capo allo stesso coniuge di tale diritto di godimento e del diritto dominicale
sull’intero immobile, che permane privo di vincoli, con la conseguenza che il primo, già
derivante dal provvedimento di assegnazione giudiziale, risulterà assorbito dall’acquisito diritto in
proprietà esclusiva dell’immobile stesso, il quale, perciò, ne determinerà l’estinzione (secondo parte
della dottrina si tratterebbe di una forma assimilabile a quella di un’estinzione per confusione).
Viceversa, qualora la quota in sede di divisione venga assegnata al coniuge non assegnatario della
casa in sede di separazione, con onere del pagamento della liquidazione a favore dell’assegnatario
della casa familiare, si dovrà tenere in considerazione la presenza di un “peso”, di un vincolo che ne
diminuisce il valore.
Affermano le SS.UU. che “ove si operasse la decurtazione del valore in considerazione del già
riconosciuto diritto di godimento della “casa familiare”, il coniuge non assegnatario verrebbe
ingiustamente penalizzato con la corresponsione di una somma che non sarebbe rispondente alla
metà (nell’ipotesi di antecedente comproprietà al 50%) dell’effettivo valore venale del bene”.
Ciò non toglie che si possa considerare che il coniuge, divenuto titolare della proprietà esclusiva
sull’intero bene all’esito delle operazioni divisionali, possa eventualmente chiedere l’adeguamento
del contributo di mantenimento dei figli all’altro coniuge-genitore, in quanto nella determinazione
del relativo assegno, pur venendo meno la componente inerente l’assegnazione della casa familiare,
il genitore, non residente con i figli o non affidatario, rimane obbligato a soddisfare pro quota il
diritto dei figli (minori o ancora non autosufficienti) a poter usufruire di un’adeguata abitazione.
In conclusione le SS.UU. affermano che
“l’attribuzione dell’immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva
dell’assegnatario in sede di divisione configura una causa automatica di
estinzione … del diritto di godimento con tale destinazione, che comporta il
conferimento allo stesso immobile di un valore economico pieno
corrispondente a quello venale di mercato …
Le ultime Notizie dello stesso argomento:
Diritto Famiglia (https://www.professionegiustizia.it/documenti/notizie/a/famiglia/)
l’immobile attribuito in proprietà esclusiva al coniuge già assegnatario quale
casa coniugale non può considerarsi decurtato di alcuna utilità, posto che la
qualità di titolare del diritto dominicale e quella di titolare del diritto di
godimento vengono a coincidere. Non si configura, in altri termini, alcun diritto
altrui che limiti le facoltà di godimento del coniuge attributario dell’intero – e
già assegnatario in quanto affidatario della prole – e sia, perciò, idoneo a
comportare la diminuzione del valore di mercato del bene.
https://www.professionegiustizia.it/documenti/notizia/2022/divisione-della-casa-familiare-assegnata-coniugi