La riforma del diritto di famiglia del 2006 (n.54) ha introdotto, o meglio reso più pregnante il dovere del Giudice di procedere all’ascolto del minore che abbia compiuto dodici anni ( o anche di età inferiore a seconda delle sue “capacità di discernimento”) nelle procedure di separazione e divorzio.
Tutto ciò in linea, peraltro, con le varie convenzioni internazionali, ratificate dall’Italia.
La L. 54/06 ha confermato, dunque, che il minore è sempre più titolare di diritti soggettivi e sempre meno “oggetto” nelle procedure familiari.
Al di là di questa mera enunciazione di principio, una delle tante del diritto e della giustizia del nostro Paese, il legislatore nulla ha detto sulle modalità e tecniche di ascolto del minore.
Quando, dove, chi e come deve essere ascoltato un minore dodicenne?
Quando, dove, chi e come si valuta la capacità di discernimento di un minore che non ha ancora compiuto dodici anni?
Nessuno lo sa.
Ed ecco che, a livello locale, avvocati e magistrati sono stati costretti ad elaborare protocolli attuativi di tale istituto onde colmare lacune della Legge 54/06.
A mio parere, anche questi protocolli, sebbene frutto di sensibilità e di impegno, non hanno chiarito le questioni più delicate dell’ascolto del minore, contribuendo a lasciare dubbi ed incertezze sul quando, dove, chi e come ascoltare un minore nelle procedure di separazione e divorzio.
Pochi giorni fa, a Salerno, è stato siglato un protocollo sull’ascolto del minore, valevole per tutto il Distretto, con la partecipazione di Associazioni Forensi, di Ordini Forensi e di Presidenti dei Tribunali.
Un lavoro egregio, sintesi di varie esperienze, che conferma come anche le realtà della provincia siano ricche di fermento e di iniziative.
Ciò nonostante tale protocollo, che per puro caso ho potuto leggere, ha confermato le mie (e non solo mie) perplessità.
Lo pubblichiamo integralmente e lo commentiamo, punto per punto, con nostre considerazioni in grassetto.
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Art. 5 Modalità per l’ascolto del minore. Premesse.
La norma in esame ha di fatto elevato a regola l’audizione del minore nei procedimenti di separazione: – in virtù dell’art.4 comma 2 della Legge 8 febbraio 2006 n.54, detta previsione dovrebbe trovare applicazione anche nei procedimento di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché nei procedimenti relativi ai8 figli di genitori non coniugati; – peraltro, affinchè l’audizione nel processo costituisca per il minore un’effettiva opportunità di esprimere proprio bisogni e desideri, è necessario che si proceda all’ascolto con modalità adeguate e consone alla sua sensibilità, nel rispetto del principio della minima offensività; – specie nel caso dei procedimenti con alta conflittualità tra le parti, occorre prestare la massima cautela onde evitare che l’audizione del minore diventi occasione di pericolose strumentalizzazioni e suggestioni ad opera dei genitori e dei terzi; – pertanto, al fine di garantire una corretta applicazione del disposto ex art. 155 sexies, si auspica che vengano fissati alcuni criteri interpretativi di base e che detti criteri ed indicazioni vengano rispettati per l’ascolto del minore in tutte le procedure civili che lo riguardano.
Fin qui siamo perfettamente d’accordo.
A – Limiti dell’ascolto. In ossequio a quanto disposto dall’art. 23, lett. b del regolamento (CE) n. 2201/2003, è necessario che sia data la possibilità al minore ultradodicenne di essere ascoltato.
Si considera avvenuto tale adempimento già solo attraverso la comunicazione allo stesso di tale possibilità, anche a mezzo assistenti sociali all’uopo delegati.
Qui iniziano le incertezze del protocollo.
Il ruolo dell’intervento del Servizi Sociali è eventuale (…anche dei Servizi Sociali).
Quale sarebbe l’alternativa?
Il coinvolgimento o meno dei Servizi da cosa e da chi dipenderebbe? Sono contemplate modalità diverse di comunicazione al minore del suo imminente ascolto?
Non è dato sapere.
Costoro, successivamente, invieranno al Giudicante attestazione di aver contattato il minore e di avergli comunicato la facoltà di poter essere sentito nei procedimenti relativi alla responsabilità genitoriale (compresi separazione e divorzio sia pure non giudiziali), con l’esito di detto intervento. L’ascolto del minore dovrà essere disposto unicamente nei procedimenti contenziosi (separazione, divorzio, interruzione conflittuale di convivenza more uxorio);
Non è chiarito, ma si deve supporre che l’ascolto debba essere contemplato anche nelle procedure ex art. 710 c.p.c. di istanza di modifica delle statuizioni assunte in sede di separazione, cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento del matrimonio, nonché nelle procedure di impugnazione o reclamo in appello (ex art. 709 c.p.c.).
A nostro parere l’ascolto del minore potrebbe/dovrebbe avvenire anche in sede di reclamo in appello avverso i provvedimenti ex art. 708 c.p.c., laddove il Tribunale nel decidere sull’affidamento del minore, non abbia ascoltato quest’ultimo.
nel caso di procedimenti consensuali, potrà essere disposto soltanto laddove particolari circostanze del caso lo rendano necessario. In ogni caso, l’ascolto del minore potrà essere disposto solo nei casi in cui debbano essere presi provvedimenti che riguardino l’affidamento, le modalità di visita e tutte le decisioni relative ai figli. L’ascolto del minore potrà non essere disposto quando, per le particolari circostanze del caso, il giudice ritenga motivatamente che non sia rispondente all’interesse del minore.
E’ inaccettabile questo principio atteso che conferisce al Giudice un potere discrezionale del tutto ingiustificato.
Il minore dodicenne deve essere ascoltato sempre onde evitare che una della parti (che avrebbe l’interesse a non procedere in tal senso) possa agitare lo spettro della nocività dell’ascolto del minore.
Qualora debba essere disposta l’audizione del minore inferiore di anni dodici, il Giudice potrà, in ogni momento, avvalersi della competenza di un esperto, nominato ausiliario ex art. 68 c.p.c. ovvero di una CTU, per la valutazione della “capacità di discernimento”, o della difficoltà o del pregiudizio che l’espletamento dell’ascolto potrebbe arrecare al minore.
Anche qui, come sempre in tale protocollo, il potere discrezionale del giudice (nonché la presunzione delle sue capacità tecniche di ascolto e di analisi) è ipetrofico.
A nostro parere, soprattutto nella fase dell’analisi preventiva delle capacità di discernimento del minore infradodicenne (e/o delle controindicazioni dell’ascolto) non può che avvenire mediante una CTU psicologica e/o psichiatrica.
Quindi andava sancito che, in tali casi, il Giudice DEVE avvalersi in via obbligatoria della consulenza tecnica.
B – Tempi dell’ascolto giudiziario. L’ascolto del minore dovrà essere disposto ad udienza fissa ed orario prestabilito, in ambiente adeguato e a porte chiuse. Ciascuna Autorità Giudiziaria (o le Cancellerie e gli Uffici Amministrativi competenti) dovrà dunque dare disposizioni affinchè a queste udienze venga assicurata particolare priorità ed attenzione, sia in termini di rispetto dei tempi, sia con riferimento al luogo ove l’audizione verrà effettuata che dovrà garantire la massima riservatezza e tranquillità al minore.
In linea di principio siamo d’accordo.
Tuttavia sarebbe stato preferibile indicare orari precisi (di pomeriggio) al fine di non obbligare il minore ad una assenza scolastica (da giustificare secondo verità!) e garantire la massima riservatezza dell’ascolto.
Il protocollo doveva altresì prevedere l’obbligo dei Presidenti dei Tribunali di predisporre, entro un termine stabilito, una sala apposita dove procedere all’ascolto del minore.
E’ fatto notorio che nel Distretto salernitano vi sia una carenza drammatica di strutture giudiziarie nel settore civile, specie a Salerno (il Tribunale civile è ospitato in una scuola elementare) e a Nocera Inferiore (il Palazzo di Giustizia è un ex manicomio).
C – Ascolto diretto e “competenze integrate”. L’ascolto verrà effettuato dal giudice relatore, se del caso alla presenza di un ausiliario ex art. 68 c.p.c., esperto in scienze psicologiche o pedagogiche.
Si conferma la eventualità della presenza di una CTU (…se del caso…) e si ignora del tutto la necessità (specie in casi di elevatissima conflittualità tra le parti) di conferire incarico ad un medico psichiatra infantile da affiancare ad un esperto in psicologia.
Il riferimento al giudice relatore è inesatto e fuorviante.
Il minore può essere ascoltato anche in sede presidenziale, ex art. 708 c.p.c., specie quando il conflitto tra le parti è grave e pericoloso, mediante lo sdoppiamento della fase speciale del giudizio di separazione o divorzio.
Non sempre, per fortuna, il giudice della fase presidenziale coincide con la persona del Giudice istruttore/relatore.
Il protocollo, implicitamente, toglie il potere al Presidente f.f. di ascoltare il minore in sede di provvedimenti provvisori ed urgenti.
Tutto è demandato al Giudice successivo con le gravi conseguenze che ne deriveranno atteso che – specie nei tribunali meridionali sempre più al collasso – dalla data dei provvedimenti presidenziali a quella dinanzi al Giudice istruttore intercorrono tempi siderali con la conseguenza che i minori – al centro di aspri conflitti – non sono né tutelati né ascoltati in questa fase di interregno.
A nostro parere, l’ascolto del minore deve avvenire preferibilmente in sede di udienza presidenziale, ferma la possibilità del tutto residuale di ascoltarlo nella fase ordinaria.
L’incontro sarà verbalizzato, anche in forma sommaria, e il minore avrà diritto di leggere e sottoscrivere il verbale. E’ auspicabile che, qualora si proceda ad un ascolto del minore in sede di CTU, anche detto incombente avvenga, così come per l’ascolto, avanti al Giudice, senza la presenza delle parti e dei difensori. Potrà, però, essere richiesto che l’incontro venga videoregistrato, ove possibile.
Inaccettabile questo punto!!!
La verbalizzazione deve avvenire in forma integrale e non sommaria e la videoregistrazione deve essere obbligatoria e non “ove possibile”….
E’ arcinoto che il linguaggio dei minori debba essere interpretato anche attraverso l’analisi dei suoi comportamenti, delle sue titubanze, dei suoi sguardi, delle sue pause,delle sue incertezze.
La cosiddetta decodificazione delle dichiarazioni di un minore non può prescindere da una valutazione complessiva del suo contegno, specie quando si è chiamati a verificare ipotesi di plagio o reconditi timori posti in essere da uno o da entrambi i genitori a suo danno.
D – Presenza delle parti e dei difensori. L’audizione del minore si svolgerà unicamente alla presenza del Giudice titolare della procedura, dell’eventuale CTU ausiliario e del Cancelliere verbalizzante.
Al fine di evitare condizionamenti, non è opportuna la presenza delle parti e dei difensori. Costoro presteranno consenso ad allontanarsi dall’aula nel corso dell’audizione. Dell’audizione verrà fatta verbalizzazione fedele di quanto il minore riferisce.
In ogni caso, prima dell’audizione, i legali delle parti potranno sottoporre al giudice i temi e gli argomenti sui quali ritengono opportuno sentire il minore.
Ancora una volta il protocollo ribadisce la pura eventualità della partecipazione di una CTU in fase di ascolto del minore.
Non si capisce dal testo se tale ipotesi riguarda addirittura il cancelliere.
Il rischio grave e concreto sarebbe dunque quello un ascolto del minore effettuato dal solo Giudice in totale dispregio di un qualsivoglia sacrosanto controllo sulla bontà del suo operato.
Del resto il riconoscimento che l’ascolto del minore non abbia la dignità di una prova testimoniale appare pura accademia atteso che – inevitabilmente- il Giudice non potrà non essere (inconsciamente) condizionato dalle dichiarazioni del minore, specie quando il magistrato (come è nella realtà!) non possiede uno specifico bagaglio tecnico per ascoltare un minore, salvo che non sia uno zelante ed illuminato autodidatta.
Non può negarsi che la presenza delle parti e dei loro difensori possa condizionare il minore in fase di ascolto.
Tuttavia non è ipotizzabile, sul piano logico-giuridico, una sorta di obbligatorietà alla prestazione del consenso dei legali ad allontanarsi dall’aula dove avviene l’ascolto.
Che significa?
Il consenso non può essere prestato da un difensore in forza di un protocollo che avrebbe il diritto di non riconoscere e condividere.
E se il difensore non presta tale consenso? Il Giudice non ha il potere di allontanarlo.
Che succederebbe dunque in tale ipotesi?
Il protocollo, peraltro, non contempla nemmeno la facoltà difensiva – in totale dispregio delle norme costituzionali – di nominare propri consulenti tecnici parte nella delicatissima fase dell’ascolto, in propria sostituzione.
Tutto questo è inaccettabile perché offre un messaggio deleterio del ruolo negativo dell’avvocato che si trasforma in un fantoccio attaccabrighe, incapace di osservare autonomamente regole deontologiche che, come tale, deve essere allontanato.
A quest’ultimo non si concede alcuno spazio, nemmeno indiretto della CTP, mentre al Giudice si conferiscono implicitamente capacità sovrumane del tutto estranee alla quotidianità e specificità delle sue competenze e conoscenze.
Una “scappatoia” andava individuata, consentendo al difensore di essere, almeno, indirettamente presente mediante la partecipazione attiva del proprio consulente di parte in fase di ascolto.
Nulla di tutto ciò.
A nostro parere la figura dell’avvocato ed il ruolo che Egli rappresenta, da tale protocollo, ne escono con le ossa rotte, un po’ come succede nell’ambito della giustizia minorile in sede civile, ove la figura del difensore è, a dir poco, “tollerata” dai Giudici.
Ma tant’è!
Si parla, in questa parte del protocollo, che l’audizione sarà verbalizzata in modo fedele. Eppure nella parte iniziale del protocollo ci si è accordati per una verbalizzazione sommaria.
Fedele o sommaria, dunque?
E ci mancherebbe che una verbalizzazione potesse essere “infedele”?!
E’ una precisazione inutile,offensiva e contraddittoria; una sorta di piccola rivincita dell’avvocato che, dopo aver supinamente ingigantito il potere del Giudice e ridimensionato il proprio, alla fine pretende che ciò dice il minore sia fedelmente verbalizzato. Mah!
Viene concesso ai difensori di sottoporre all’attenzione del Giudice i temi e gli argomenti sui quali è opportuno sentire il minore.
Non è specificato – però – quando, dove e come tale facoltà defensionale debba e possa essere espletata.
Non è dato sapere se il Giudice possa, e in che misura, non tenere conto di determinati quesiti proposti dal difensore.
E nel caso in cui dovessero emergere dal racconto del minore fatti diversi e più gravi di cui i difensori non erano a conoscenza?
Nulla viene deciso in ordine alla partecipazione dei pubblici ministeri.
Un fatto grave ed inspiegabile in dispregio di quanto sancito dagli artt. 70 e 72 c.p.c.
Purtroppo le Procure della Repubblica, in molte realtà del Sud, sono latitanti nelle procedure familiari.
L’attività del PM è puramente formale e si esaurisce con l’apposizione di un visto del proprio parere mediante un timbro.
Eppure sussiste l’obbligo di notificare gli atti alla Procura quando si è in presenza di minorenni nelle procedure familiari.
Il PM, al pari del difensore, potrebbe costituirsi in giudizio, presentare memorie e richieste, impugnare ogni cosa.
Alzi la mano chi ha visto nel Sud un PM nel corso di un’udienza presidenziale.
Ebbene questo protocollo ha perso l’ennesima occasione per trascinare il PM almeno nella fase dell’ascolto del minore.
E così, senza il PM, il Giudice è sempre meno Terzo in barba all’art. 111 Cost.
Il Giudice Ordinario, con simili protocolli, somiglia sempre di più ad un Giudice Minorile.
Egli sta diventando tutto in uno. Senza controllo e senza contradditorio.
Se il minore richiederà espressamente la presenza di un genitore o di entrambi o di una persona esterna al nucleo, in ossequio al diritto ad un’assistenza affettiva e psicologica, questa richiesta, anche in considerazione dell’età del minore, dovrà comunque essere valutata dal giudice positivamente.
Qualora venga disposta l’audizione di più fratelli, essi saranno ascoltati separatamente, salvo l’opportunità di ascoltarli successivamente anche insieme.
Tale disposizione è pericolosa e in netta contraddizione con i princìpi del protocollo.
Una o entrambe le parti potrebbero suggerire al minore di richiedere la presenza di genitori o di terze persone e il Giudice dovrà valutare in senso positivo la richiesta (?).
“Fatta la legge, trovato l’inganno”.
E – Informazione. Prima dell’audizione, il minore dovrà essere adeguatamente informato dal Giudice del suo diritto ad essere ascoltato nel processo, dei motivi del suo coinvolgimento nello stesso, nonché dei possibili esiti del procedimento, precisando che tali esiti non necessariamente saranno conformi a quanto sarà da lui eventualmente espresso o richiesto.
Prima dell’audizione del minore il Giudice fornirà ai genitori e agli avvocati le indicazioni su come comunicare al minore tempi e modalità dell’ascolto.
Siamo d’accordo.
F – Doveri dell’avvocato di informazioni alle parti. L’avvocato dovrà invitare i suoi assistiti ad un atteggiamento responsabile nei confronti del minore, evitando ogni forma di suggestione e di induzione della volontà, invitandoli espressamente ad astenersi dal mostrare al minore qualsiasi atto processuale.
Anche qui siamo ‘d’accordo.
Tuttavia questo protocollo non ci trova d’accordo sui questioni fondamentali.
Si tratta – certo – di un lavoro meritorio, segnale di una realtà,come quella salernitana, in cui molti giuristi di grande valore hanno portato negli ultimi dieci anni un contributo importante al diritto di famiglia.
Ma questo protocollo andrebbe urgentemente emendato specie su questioni di fondo, come sopra evindeziate.
Ci si augura che esso non possa ispirare altri Distretti a fare e pensare le stesse cose.
Non sono accettabili accordi con il condizionale che offrono diverse opzioni.
Non può avere un senso un accordo che si fondi su “anche a mezzo di”, “se del caso”, “ove possibile”, e tante altre scappatoie.
Non si possono colmare lacune del legislatore, seminando dubbi ed incertezze.
In questi casi l’imperativo deve prevalere sul condizionale (che rischia di trasformare la discrezionalità in arbitrio!!!).
In linea di princìpio l’AMI – proprio per la sua vocazione nazionale – ritiene che i protocolli locali,specie per quanto concerne il diritto di famiglia e delle persone, non debbano più esistere.
Il CSM – infatti – ha più volte sollevato la necessità di uniformare le prassi al fine di evitare che possano sorgere differenze stridenti tra un Distretto e l’altro su questioni di vitale importanza, come l’ascolto del minore.
Urgono protocolli nazionali vincolanti per tutti.
La certezza del diritto, in fondo, passa da questa svolta giuridico/giudiziaria.
Anche il legislatore deve fare la sua parte. Ogni legge deve contenere norme attuative precise e vincolanti al fine di non creare i presupporti di regolamenti locali diversi l’uno dagli altri.
Come Associazione Forense, l’AMI non potrà non sostenere il sacro ruolo del difensore.
Ogni tentativo di ridimensionare la nostra categoria troverà la nostra ferma opposizione.
L’avvocato non può essere un “sopportato” o una figura da ridimensionare.
Egli è il sale della Legge e del processo.
Con il Ministero della Giustizia studieremo la possibilità di creare linee guida vincolanti per tutti.
Ne va della certezza del diritto e dei diritti.
La centralità del ruolo del difensore dovrà essere un punto fermo, così come il prestigio della magistratura non potrà mai fondarsi su ampie discrezionalità, del tutto anacronistiche.
Un procedimento o processo – senza la presenza efficace dell’avvocato – non può esistere: questa è la parola d’ordine della nostra Associazione.
Avv. Gian Ettore Gassani
Presidente Nazionale dell’AMI